FANIA: SONO DA ESPLORARE ALTRE STRADE, NON SOLO QUELLA DEL REDDITO DI CITTADINANZA
Intervento del Segretario Generale, Giovanni Fania, pubblicato sul Messaggero Veneto Si è nuovamente ripreso a parlare, anche in Friuli Venezia Giulia, di reddito di cittadinanza. Tema solo all’apparenza semplice, che rischia, se affrontato con superficialità, di indurre in pericolosi equivoci e soprattutto di illudere chi oggi si trova in difficoltà economica e occupazionale. Ciclicamente, dall’inizio della crisi, il reddito di cittadinanza si affaccia nei programmi e discorsi politici, quasi fosse la panacea a tutti i mali, aprendo diversi scenari. Il primo: da più parti si è preteso di sostituire con questo strumento gli ammortizzatori sociali, andando così a ridurre notevolmente le risorse a favore dei lavoratori in crisi, per allargare in modo demagogico e populista, la platea degli aventi diritto a una sorta di indennità. Una ipotesi – questa – che ci vedrebbe assolutamente contrari, mentre, invece, – e qui si apre il secondo scenario – saremmo disponibili alla discussione se l’intenzione fosse quella di sommare i due interventi: ammortizzatori sociali e reddito di cittadinanza. È evidente, però, che questa strada sarebbe difficilmente percorribile, stante la difficoltà di reperire le non poche risorse necessarie. Il problema, infatti, non è di poco conto se si considera che a oggi i lavoratori stanno ancora attendendo le indennità di aprile per quanto riguarda la cassa integrazione in deroga. Al di là delle varie ipotesi, credo sia più interessante esplorare altre possibilità, partendo dagli strumenti esistenti, a partire dai “pacchetti anti-crisi” e apportandovi alcuni correttivi. Credo, in particolare, che tre siano le macro-aree su cui le istituzioni debbano lavorare di più e meglio rispetto al passato; aree, cioè, dove sono possibili interventi capillari e strutturali, molto più efficaci e risolutivi del reddito di cittadinanza, rivolti a varie tipologie di persone. Innanzitutto l’avviamento al lavoro dei giovani usciti dal percorso scolastico. Piuttosto che elargire soldi in modo estemporaneo, forse sarebbe più utile incentivare forme di auto-imprenditorialità oppure, ad esempio, prevedere percorsi specialistici di formazione. La seconda area su cui muoverci riguarda, invece, la disoccupazione, in particolare giovanile. È qui che bisognerebbe avviare in chiave decisiva le cosiddette politiche attive del lavoro, finalizzate alla rioccupazione e stabilizzazione dei precari, andando anche a meglio orientare la formazione in base ai fabbisogni del mondo produttivo. In questo quadro, urge pure un migliore incrocio tra domanda e offerta di lavoro, che può essere ottenuto soltanto coinvolgendo in modo sistemico le parti datoriali ed elaborando anche corsi “a commessa”, oggi tutto sommato ancora marginali nel panorama della formazione e riservati a poche aziende. La terza area, infine, riguarda le persone espulse dal modo del lavoro over 45. È rispetto a questa fascia di persone che meglio – a nostro giudizio – si attaglierebbe uno strumento come quello del reddito di cittadinanza o meglio del reddito in inclusione, inteso come sostegno al nucleo famigliare piuttosto che al singolo individuo. In questo caso, infatti, il reddito aggiuntivo andrebbe a colmare i danni più profondi creati dalla crisi, ovvero l’attacco drammatico alle famiglie che mette a rischio la stessa tenuta sociale del territorio. È tuttavia chiaro che tutte queste azioni, e altre necessarie a costruire nella nostra regione uno strumento di sostegno alla marginalità, devono, come nel caso del Fondo per l’autonomia possibile, essere pensate in modo complementare a quelle nazionali. Resta, poi il fatto, tutt’altro che trascurabile, che, a oggi, la definizione della platea degli eventuali beneficiari appare, malgrado i notevoli sforzi di ricostruzione delle criticità, non chiara. Si stima che i potenziali aventi diritto non siano, a livello regionale, inferiori alle 25mila persone. Se il dato fosse confermato, ciò significherebbe che solo per garantire un minimo reddito di 500 euro netti servirebbero almeno 150 milioni, quando oggi non si riescono neppure a trovare le risorse necessarie a saldare i bisogni delle politiche abitative. In una situazione come quella attuale, dove soltanto i precari in Friuli Venezia Giulia superano le 30mila persone, forse più che promettere 500 euro come sussidio, sarebbe meglio investire quelle risorse per incentivare in modo concreto l’autoimprenditorialità o iniziative a sostegno dell’occupazione immediata, come le oggi marginali, imprese sociali. Per quanto ci riguarda siamo aperti alla discussione, purché non si parli di pericolose chimere.