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TROPPI ENTI E DI POCA QUALITA’: E’ ORA CHE LA REGIONE INTERVENGA

Intervento del Segretario generale Cisl Fvg, Giovanni Fania, pubblicato su Il Piccolo Prendo lo spunto da alcuni fatti di attualità – così il discusso deficit (oggi ripianato) del teatro Verdi di Trieste – per alcune considerazioni per il futuro. Molti enti del Friuli Venezia Giulia hanno per anni assorbito dalla Regione ingenti risorse, non solo confidando che queste potessero essere garantite "a vita", ma anche legando indissolubilmente la propria attività agli organismi di governo del territorio. Quasi fosse un rito, un meccanismo abitudinario. Non senza falle, però, come la crisi ha ci ha ben dimostrato. La nostra regione ha vissuto per lungo tempo entro una sorta di sistema tolemaico in cui tutto ruotava attorno alla politica. Una politica "generosa", pronta ad elargire a tutti, grazie a risorse sempre crescenti. All’interno di questo sistema non solo si è consolidato il consociativismo, ma hanno prolificato enti, entini, entucoli, come se ogni ambito territoriale non ne potesse fare a meno. Insomma, non si è negato niente a nessuno, in modo che il consenso elettorale fosse sempre salvaguardato. Con la conseguenza che, assieme agli enti, è stata alimentata non solo una nutrita classe dirigente politica, ma anche un’altrettanto vasta schiera – meglio, oligarchia – di vertici tecnici, entrambi strettamente legati ad un forte conservatorismo di sistema. E questo accadeva sotto l’ombrello di un’accettazione "culturale", motivata dalla presenza di casse ben dotate e dalla convenienza di mantenere lo status quo, dove tutte queste realtà, nuove o vecchie, potevano trovare riparo e godere della loro connaturata autoreferenzialità. Poi è arrivata la crisi che ha scompaginato le carte, mettendo tutto in discussione. E quel modo di fare, ormai consolidato, ha iniziato a scricchiolare, creando una frattura con il passato. L’Europa è entrata di prepotenza nelle nostre vite, imponendoci nuove regole, finanziarie ma anche etiche, che mal si conciliavano con i vecchi costumi. Ha chiesto di cambiare, di adottare visioni diverse: alla politica, alla società civile e anche a noi come Sindacato. Oggi ci troviamo tutti, noi compresi, di fronte a scelte di responsabilità inedite. Così, ad esempio, sul tema posto dall’Assindustria di Pordenone e che non può essere liquidato a una semplice questione di reddito. Malgrado le discutibilissime modalità di presentazione, in quella proposta, infatti, ci sono sì cose inaccettabili, ma anche idee positive che vanno vagliate, che impongono una discussione aperta e sincera, ma anche una convergenza se vogliamo salvare un’economia che non è solo territoriale. Non tutti, però, hanno saputo o voluto cogliere gli stimoli e oggi una delle conseguenze è il movimento dei forconi che mette assieme gli scontenti e gli arrabbiati, gli evasori e i supertartassati, ingiustamente generalizzando colpe e responsabilità. La crisi stessa – che molti hanno individuato come opportunità – dovrà essere la barra del timone che re-indirizzerà l’operare di tutti. Nell’ultimo periodo le risorse delle Finanziarie erano state orientate prevalentemente all’autosostentamento delle partecipate e degli enti regionali, che non alla crescita complessiva del sistema. Domani, non dovrà più essere così. La crisi non ci impone di buttare l’esistente, ma semmai di trasformarlo nel senso di una migliore funzionalità, ed entro un sistema più virtuoso. È venuto il tempo che in questa regione si facciano scelte sostenibili sul numero e la qualità degli enti, salvaguardando e rafforzando quelli che producono lavoro e sviluppo. Non è un caso che oggi il dibattito si sia acceso sulle Province e sul modello istituzionale migliore per garantire al contempo diritti e servizi. Anche in questo caso è evidente che il tema è vincolato alla "malattia" politica della rappresentanza, che mira più ad accaparrarsi la titolarità che a esercitare effettivamente le competenze. Perchè quando il tetto di una scuola cade sulla testa degli studenti, a nessuno importa che gli edifici scolastici facciano capo alle Province, piuttosto che ai Comuni o alla Regione, ma interessa che quel tetto, che già non doveva cadere, venga messo al più presto in sicurezza. Allo stesso modo non è pensabile che solo quest’anno 2mila 600 associazioni abbiano richiesto un contributo regionale. Un passo avanti, certo, si è fatto riducendo la disponibilità da 24 a 8 milioni, ma certo questi non potranno essere polverizzati, a danno di quelle realtà virtuose in grado di generare indotto. Urgono nuovi criteri di selezione, che non possono prescindere dalla capacità di autosostentamento. Insomma campare solo sulla regione e sui soldi pubblici non si può più.