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CONTRO LE DELOCALIZZAZIONI, LA STRADA E’ QUELLA DELLA COMPETITIVITA. MA LE PAGHE NON SI TOCCANO AL RIBASSO

Contro le delocalizzazioni le ricette non mancano, purchè il Paese – e anche il Friuli Venezia Giulia – si rimettano sulla strada della competitività. E non certo giocando sui salari al ribasso, anzi. "Ridurre le paghe in Italia è assurdo" – chiarisce subito Raffaele Bonanni, da Pordenone, ospite stamani del consiglio generale della Cisl Friuli Venezia Giulia. L’unico modo per tornare a crescere – spiega in sostanza – è competere con una migliore energia, un migliore sistema di tassazione, con l’amministrazione snella e infrastrutture che funzionano. Peccato che da venti anni nel nostro Paese di questi temi non ci si occupi più. Il leader cislino entra subito nel merito delle questioni, anche cogliendo l’assit fornito da una ricerca realizzata per la Cisl Fvg da Idea Tolomeo (di seguito una sintesi) che mette in luce alcuni gap irrisolti: non solo energia, ma anche cuneo fiscale sbilanciato, costi del lavoro, tempi dell’import/export che penalizzano l’Italia rispetto ad altri paesi come Austria, Germania ed Est europeo, insomma i più diretti concorrenti del Friuli Venezia Giulia. A Pordenone, nel cuore pulsante di una crisi che non arretra, la Cisl regionale richiama al confronto tra tutti i soggetti del territorio per trovare quella ricetta comune indispensabile per uscire dal tunnel. Basta alla conta dei danni – sprona il segretario Alberto Monticco, invitando alla concretezza e alla definizione di vere politiche industriali di sviluppo. Tanto per fare un solo esempio, non è pensabile che in Italia ci vogliano mediamente 19 giorni per esportare contro i 9 di Austria e Germania. Stessi tempi perchè un’impresa italiana possa importare beni. Senza industria – tuona Bonanni di fronte agli oltre 300 sindacalisti in platea – non ci sono servizi, non ci sono consumi, tutto è paralizzato. "Mi auguro – afferma – che in questo Paese si sviluppi un dibattito nuovo, per cambiare le cose; che si trovino nuove verità, lasciando da parte i troppi clamori su questioni secondarie". Il confronto deve avere obiettivi chiari per la Cisl: l’attivazione di interventi sui fattori di sviluppo, sulle tasse che vanno tagliate a lavoratori e pensionati, ("Renzi ci dica con chiarezza cosa vuole fare"), sulla lotta serrata all’evasione fiscale, sulla partita dell’energia, sulla ristrutturazione istituzionale ed amministrativa, andando a tagliare anche gli enti inutili. Insomma, quelle che servono – per il leader della Cisl – sono complessive politiche di sviluppo e crescita, con una ammonizione sugli ammortizzatori sociali: "Attenzione, un conto è la logica degli ammortizzatori da ristrutturazione e un conto è usare gli ammortizzatori come la morfina quando si sa che un corpo è morto e bisogna farlo soffrire il meno possibile". Le parole d’ordine sono date, ora si attendono, dunque, le risposte anche da parte del nuovo Governo. E proprio la vicenda Electrolux sarà per Bonanni – oggi in doppia visita allo stabilimento di Porcia – il vero "banco di prova" per Renzi: dall’incontro di domani, infatti, si capirà se il neo presidente del Consiglio ha intenzione di fare politiche industriali per il Paese. "Qui lo aspettiamo per politiche capaci di sostenere l’azienda, perché le produzioni continuino e l’innovazione sia all’ordine del giorno in questa realtà". Grandi aspettative anche da parte della governatrice del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani che, dal tavolo dei relatori, da una parte condanna come negli ultimi anni non si sia fatto nulla per evitare le delocalizzazioni e dall’altra sollecita al Governo risposte chiare anche sulla partita dell’Electrolux, trovando sponda anche in Maurizio Castro, che ricorda come i problemi della multinazionale non siano di oggi e come senza elettrodomestico un territorio come Pordenone sarebbe snaturato. L’iniezione di fiducia viene, invece, dal presidente di Confartigianato Fvg, Graziano Tilatti, che incita a non lasciarsi scappare i talenti e a non disperdere un patrimonio di conoscenze ricchissimo come quello italiano. "Tutti dobbiamo fare la nostra parte, senza delegare" – sprona, trovando l’accordo anche del presidente di Confindustria Fvg. "C’è immediata urgenza di tornare a una grande alleanza-patto per il lavoro tra le forze produttive. Industria, commercio, sindacati, devono portare proposte alla politica, al Governo", propone inoltre l’ad di Fincantieri, Giuseppe Bono. "Il job act – chiude Bonanni, con un appello – non sia un paravento per non discutere dei nodi strutturali della vicenda industriale italiana. Servono misure che mantengano in piedi le fabbriche, sostegni ai fattori che danno sviluppo e che in Italia sono spariti".

Sintesi ricerca curata da Idea Tolomeo per Cisl Fvg
Punto di partenza il costo orario del lavoro. Tra i Paesi considerati – emerge dall’indagine – l’Italia nel 2012 segna non solo il costo più elevato, dopo Germania ed Austria, ma anche il tasso di crescita (del costo stesso) più alto, al 14,1%, pari alla Slovenia, che però vede un costo orario del lavoro dimezzato rispetto a quello italiano, mentre in Croazia, Ungheria e Polonia è meno di un terzo.
Mantenendo poi il confronto con i Paesi dell’Est, tolti dunque gli alti standard di produttività di Germania ed Austria (cresciuti tra il 2000 2 il 2012 rispettivamente del 14% e del 18%), l’Italia fa registrare un livello di produttività marcatamente superiore a quello di Slovenia, Ungheria e Polonia, ma mentre in questi tre Stati la produttività è in crescita (addirittura +51% in Polonia e specialmente nella manifattura), nel nostro Paese si assiste ad una crescita zero.
Sempre tra i Paesi considerati, l’Italia ha registrato nel 2010 anche il più elevato costo del lavoro per unità di prodotto, decisamente superiore a quello della germania e della vicina Austria. Anche negli altri Paesi si notano dinamiche tendenzialmente crescenti, con la rilevante eccezione della manifattura in Polonia, dove i costo del lavoro per unità prodotta si è ridotto sensibilmente.
Altro punto toccato da Tolomeo, quello della ripartizione della tassazione. Ad emergere è il fatto che l’Italia non è il Paese con il più elevato cuneo fiscale e contributivo, pari al 47,6% del costo del lavoro: in Germania, ifatti, è al 49,7%, al 49,4% in Ungheria e al 48,9% in Austria. Tuttavia, l’Italia risulta il Paese in cui è maggiore la quota di contributi a carico del datore di lavoro, con il 24,3%, contro, ad esempio, il 13,9% della Slovenia e il 14,4% della Polonia.
Infine, il gap sui tempi e costi dell’import/export. In Italia per esportare ci vogliono mediamente 19 giorni, a fronte del 9 di Austria e Germania e dei 16 della Slovenia. Per importare, invece, ce ne servono 18, ma Austria e Germania ce la fanno rispettivamente in 8 e 7. Senza considerare i costi. Esportare un container ci costa 1.195 dollari, mentre alla Slovenia solo 745, mentre se lo vogliamo importare dobbiamo pagarne 1.145 contro gli 830 che costa alla Slovenia. Con un ulteriore paradosso: se un’azienda italiana ha bisogno di un container proveniente ad esempio dal Vietnam, impiega meno tempo a farlo sdoganare a Vienna e transitare per l’Austria, piuttosto che importarlo direttamente dall’Italia.

Ufficio stampa Cisl FVG