MILLE LAVORATORI IN BILICO NELLA FORMAZIONE. INTERVISTA AL PRESIDENTE IAL FVG, ELVIO DI LUCENTE
Per alcuni siamo in una vera e propria emergenza, altri sono meno disfattisti, ma non nascondono una certa preoccupazione. Il mondo degli enti di formazione professionale del Friuli Venezia Giulia sta vivendo una fase complessa: la crisi economica avrebbe potenzialmente aumentato la platea di persone che potrebbero usufruire di percorsi formativi, eppure cassa integrazione e contratti di solidarietà toccano anche questo settore, costretto a una spending review e sferzato da venti di tagli, pur essendo la regione, con la seconda minore proporzione tra enti formativi accreditati (43) e popolazione, dietro alla sola Emilia Romagna. La presidente della Regione, Debora Serracchiani, nei mesi scorsi ha ipotizzato la possibilità di diminuire il numero di questi enti i quali, a loro volta, lamentano lungaggini nella programmazione per il periodo 2014-2020 del Fondo sociale europeo (la principale fonte di sostentamento del settore) e la mancanza di un politica in questo campo da parte della giunta regionale. La formazione professionale occupa attualmente meno di un migliaio di dipendenti a cui si aggiungono circa tremila tra insegnanti a contratto e almeno altrettanti operatori dell’indotto. La situazione di riduzione delle risorse e di mancanza di interventi normativi per riformare il settore, metterebbe a rischio un quarto di questi posti di lavoro. Poco meno di mille, dunque. «Abbiamo fatto ricorso ad ammortizzatori sociali e avviato una razionalizzazione amministrativa molto forte» spiega il presidente dello Ial, Elvio Di Lucente, esponente della Cisl che sottolinea come negli ultimi due anni il suo istituto abbia visto ridursi le risorse dal canale europeo (ci sono poi quelle regionali relative alla cosiddetta “prima formazione” per i ragazzi che vengono dalla scuola dell’obbligo) di oltre la metà. «Abbiamo il sistema formativo probabilmente migliore in Italia relativamente agli esiti – sostiene Di Lucente – e siamo pronti ad affrontare la sfida di mantenere questi livelli di qualità anche con meno risorse. La Regione sta facendo la sua parte sul piano dei fondi di sua competenza ma servono scelte politiche per evitare il rischio di perdere risorse». Un’opera di “dimagrimento” e razionalizzazione della spesa è accettato, meno l’ipotesi di tagliare enti di formazione: «Siamo in 43, in Trentino Alto Adige sono oltre 100 e in Veneto più di 500» esemplifica Di Lucente e altri sottolineano come almeno metà degli enti del Friuli Venezia Giulia siano legati alle associazioni di categoria, lasciando quindi una ventina di istituti davvero “tagliabili”. «Chiederemo alla presidente della Regione di partecipare a un convegno sul tema in modo da poter chiarire le sue affermazioni “stereotipate”» annuncia Di Lucente. Più che di tagli agli enti di formazione, i protagonisti del settore chiedono interventi per ridurre la burocrazia (tra gli adempimenti previsti c’è anche la fidejussione bancarie a garanzia di fondi pubblici) e per ottimizzare le risorse: ad esempio, ad oggi vengono premiata, nell’assegnazione di risorse, le strutture più grandi quando invece, in una fase di ristrettezze, sarebbe più utile avere sedi e laboratori condivisi, così come andrebbe incentivata la formazione, in campo industriale ma anche nel terziario, nelle aziende prima che in aula. Servono quindi modifiche alla legge del settore e ai regolamenti attuativi: «Siamo consapevoli che il bilancio è magro anche per la Regione, – afferma Di Lucente – per questo servono scelte sul piano politico e siamo convinti che l’amministrazione saprà prenderle». Anche se trapela, nel mondo della formazione professionale, il timore che ci sia la volontà di tornare a un modello di formazione pubblica come ai tempi dell’Irfop. Che, sottolineano alcuni esponenti del settore, costava il doppio e non otteneva i risultati di oggi, considerando che la percentuale di inserimento al lavoro dei giovani alla fine dei percorsi di formazione professionale è del 70%.