PRIMO MAGGIO, SERVE NUOVO SISTEMA GLOBALE DI REGOLE SUL LAVORO
Il Primo Maggio di quest’anno ha confermato con chiarezza la necessità – esplicitata dalla manifestazione nazionale di Cgil, Cisl e Uil a Pozzallo, in Sicilia – di legare ancor di più il tema del lavoro a quello dell’immigrazione e dell’accoglienza. Le tragedie del mare che ormai sono quasi quotidiane – ultima in ordine di tempo quella nel canale di Sicilia – stanno portando alla luce nuovi scenari, di fronte ai quali non possiamo, come forze sociali e come cittadini del nostro tempo, chiudere gli occhi. I drammi cui stiamo assistendo non sono, infatti, figli solo delle guerre, ma anche di un disordine mondiale della distribuzione della ricchezza e del lavoro, che obbliga uomini, donne, bambini a scappare, abbandonando le proprie case e radici. E’ per questo che va creato un nuovo e più forte sistema globale di regole per garantire a tutti una vita dignitosa fatta di lavoro e speranza nel futuro, per impedire esodi che altrimenti diverranno di dimensioni bibliche, accompagnati da una crescente povertà. E allora non basteranno certo gli interventi militari né affondare i barconi. Sarebbe un grave errore non considerare come nostre queste vicende, pensare di poter affrontare passivamente i problemi degli altri. La via maestra in realtà ci obbliga a scelte di campo radicali a livello europeo e nazionale, senz’altro, ma anche come collettività impegnata e solidale. E’ una responsabilità di tutti quella di abbattere, per esempio, le odiose e diffuse pratiche del dumping sociale, quel mercato che si arricchisce con lo sfruttamento. E non parliamo solo dei Paesi più poveri. Anche in casa nostra abbiamo quotidianamente a che fare con chi spaccia per lavoro forme contrattuali subdole, approfittando della disperazione di chi ha una famiglia da mantenere o dei giovani; con chi disconosce meriti e competenze; con le discriminazioni anche tra uomini e donne a parità di mansioni svolte. Ma abbiamo a che fare – cosa altrettanto grave – con corruzione e infiltrazioni criminali, come testimoniano le vicende note dell’Expo di Milano, con le delocalizzazioni che la spuntano sul costo del lavoro, con le folli logiche del massimo ribasso che mortificano la leale concorrenza e fanno crollare, a pochi giorni dall’inaugurazione, viadotti, strade e scuole. Quella che serve è una nuova e penetrante cultura globale del lavoro, oggi sacrificata dalla speculazione e dal guadagno facile. Riteniamo che vadano fatti un passo indietro ed uno in avanti: indietro per riscoprire e rincorarci ad un concetto di lavoro sinonimo di dignità e non di malizia ed uno avanti per contrastare in modo energico e coraggioso le derive sociali causate da un mercato senza etica e da una finanza senza scrupoli che ha fatto già ben troppe vittime come dimostra la conta dei danni di una crisi ancora lontana da passare. Malgrado le rassicurazioni del governo, la ripresa sbandierata anche recentemente dal ministro Paoletti non c’è. E non ci potrà essere finché non si creeranno le condizioni indispensabili a produrre nuova occupazione solida e di qualità Non centra l’obiettivo il jobs act varato dall’Esecutivo, che non rilancia il lavoro e soprattutto non cancella le forme di precarietà selvaggia, sottopagate e senza tutela che sono proliferate in questi anni nel mondo del lavoro. Occorre che le materie del lavoro tornino ad essere non solo priorità vera nell’agenda della politica, ma anche affidate alla contrattazione, strumento chiave e più efficace per favorire investimenti e produttività, e anche che si inizi a ragionare in modo sistematico, come avviene già in altri Paesi come la Germania, di democrazia partecipativa dove ogni persona, ogni lavoratore ha valore, esiste, conta. Non sono utopie, così come non lo sono tutti quegli interventi che mirano all’equità e alla pace sociale, a partire dalla riforma del fisco e della legge Fornero, indispensabili per ridare fiato alle famiglie ed ai pensionati, così come una lotta più stringente all’evasione fiscale che continua a prosperare impunita. E’ qui che c’è da mettere mano per ricostruire un ordine sociale sano e duraturo. E’ qui che a politica deve intervenire facendo delle scelte coerenti e lungimiranti. Il resto, da solo, non basterà contro le disuguaglianze e per affermare i diritti anche dei più deboli.