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UNA SOLA CISL IN REGIONE E SPAZIO AI NUOVI DIRIGENTI

Intervista al Segretario generale Giovanni Fania, pubblicata su Il Messaggero Veneto
Giovanni Fania, leader della Cisl del Fvg, annuncia: «Nel 2017 lascio e non mi ricandido», nemmeno in politica. In vista di quella data pianifica la riorganizzazione del sindacato «affinchè sia più efficiente e più vicino ai lavoratori e ai luoghi della contrattazione». Addio segreterie provinciali: la Cisl avrà un solo livello di governance, quello regionale. Forte richiamo alla politica perché sia più consapevole e «abbia il coraggio di investire sul lavoro». All’amico-avversario Franco Belci pronostica un futuro «da consigliere regionale». Segretario, qualche giorno fa parlando d’altro, lei ha accennato ad una riorganizzazione in atto all’interno della Cisl che prevede anche un ricambio generazionale. Che fa, se ne va? «Sì, non oggi però». Spieghi. «E’ un compito importante all’interno di una organizzazione, quello del ricambio generazionale. Per quel che mi riguarda io concluderà il secondo mandato nel 2017 e non chiederò il terzo, anche se sarebbe possibile». Anche lei come Belci? Lascia e… «Belci e io siamo di due generazioni diverse – e ride mentre lo dice perché il segretario regionale della Cgil ha 63 anni mentre Fania “solo” 60 -. So che Franco ha dichiarato di voler anche lui concludere il mandato e forse gli si apriranno le porte della politica». Mi pare che avesse detto che no, non si sarebbe candidato. «A me pare avesse detto che ci avrebbe pensato. Se non ricordo male, a parte un’eccezione, i segretari della Cgil hanno sempre trovato posto in consiglio regionale. Credo che se si candidasse con il Pd verrebbe sicuramente eletto». Un altro sindacalista in consiglio regionale? «Meglio un sindacalista d’esperienza nell’assemblea legislativa del Fvg, che un quarantenne squattrinato che si inventa politico per trovare un’occupazione. E purtroppo ce ne sono molti così in Italia». E se restasse nel sindacato? «Ne sarei lieto perchè è una persona molto competente». Non mi ha detto cosa farà lei dopo. «Innanzitutto farò il nonno, seguirò qualche associazione e mi godrò la pensione. Prima che me lo chieda, no, non entrerò in politica». Torniamo a noi: com’è questa riorganizzazione? «È, per l’appunto, una riorganizzazione del sindacato Cisl su un solo livello, quello regionale, che prevede quindi un unico organismo che ha in sè entrambi i livelli». Sul territorio che cosa resta? «Le strutture che erogano servizi e consulenza, mentre i segretari espressione del territorio faranno parte della segreteria regionale che, a quel punto, sarà composta dai 4 segretari territoriali a cui si sommeranno i 3 di competenza del congresso che eleggerà anche il segretario regionale». Possiamo dire che la Cisl elimina le province prima delle Province? «Effettivamente è così. Ci riorganizzeremo nelle 18 mini-aree, le Uti, dove si prevede ci siano i distretti, gli ambiti, le emanazioni dei Centri per l’impiego…». Qual è l’obiettivo? «Quello di togliere un livello burocratico e allo stesso tempo di diventare un sindacato moderno, rinnovato e organizzato, ancora più vicino ai luoghi di lavoro e a quelli di negoziazione». Quando delibererete? «A settembre ci sarà un momento di confronto che definirà questo modello». Quindi nel 2017… «Che è l’anno del congresso, avremo un gruppo dirigente che per età e per mandati conclude il proprio percorso, e un altro che andremo a individuare. Nel frattempo ci impegniamo a formare i giovani, i 40/45enni, e speriamo anche più giovani, che ci sostituiranno». Tornando alle categorie. Quante ne resteranno? «Il processo di accorpamento è già iniziato. Puntiamo a scendere dalle attuali 15 a 6/7 categorie, con l’auspicio che di pari passo arrivi anche la semplificazione della contrattazione». Siete dunque sulla stessa linea di Confindustria, che sostiene che gli oltre 200 contratti nazionali sono troppi? «È vero, questo è un altro dei problemi di questo Paese che dovrebbe diventare un po’ più europeo. Peraltro molti contratti nelle loro parti generali, sono assolutamente simili se non sovrapponibili. Io credo che le specificità possano venire affrontare attraverso i contratti territoriali o aziendali, potenziando in questo modo il secondo livello di contrattazione. Sarebbe, a mio avviso, la soluzione per una contrattazione più efficace e in grado di migliorare la produttività di sistema. Ci consentirebbe anche di essere più efficaci». Veniamo al lavoro, che non dà segni di ripresa. Le previsioni sul Pil del Fvg sono positive, ma prima che l’effetto si riverberi sull’occupazione, ci vorrà tempo. «Come Cisl da sempre andiamo ripetendo che non si genera occupazione per legge. Si fa occupazione solo se si creano le condizioni per creare un sistema competitivo e concorrenziale. Penso alle infrastrutture, alla fiscalità di vantaggio, alla produttività. La politica ha il dovere di creare queste condizioni». Invece? «Invece questo impegno francamente non lo vedo». Un punto di Pil nel 2015 cos’è dunque? «Un punto in meno da recuperare, ma ci separano 8/9 punti di Pil per tornare ai livelli pre-crisi». Che recupereremo? «Me lo auguro, ma non accadrà in tempi brevi. E dunque non possiamo pensare che il tema della disoccupazione si risolva da solo. Registriamo un 8 per cento di disoccupazione nel 2014, ma se consideriamo quella femminile si sale al 9,5, per non parlare di quella giovanile… Servono politiche di medio-lungo periodo focalizzate sul lavoro e una scossa all’economia del Fvg. Anche se siamo una piccola-grande regione, da soli non riusciremo a ricreare le condizioni avute nel recente passato di sviluppo e crescita, anche perchè siamo avviluppati in un sistema di crisi che è nazionale e internazionale». E dunque? «E dunque, fanno piacere le previsioni ottimistiche, è bene che si sia fermato il declino, ma tutto questo non ci deve entusiasmare». Parliamo delle riforme, a partire da quella sugli ammortizzatori. Era davvero questo il momento di rivedere e ridurre i parametri? «Gli ammortizzatori sociali che ci sono stati presentati sono molto innovativi ma lei ha ragione: vengono ridimensionati e non si aggiunge un euro alle risorse che c’erano. Non viene allargata la platea nè vengono esteri gli strumenti. Quindi sì, una riforma degli ammortizzatori sociali andrebbe fatta quando l’economia tira, non in una fase di crisi. Ridurre la cassa integrazione o il periodo di comporto in un momento in cui il mercato del lavoro è stagnante, se non in contrazione, sono novità difficili da affrontare. E occorre stare anche molto attenti». A che cosa? «In questo momento sono tanti gli elementi di vantaggio: il valore dell’euro, le iniziative della Bce, il credito che finalmente si riapre, il costo delle materie prime in calo, il prezzo del petrolio… Se l’occupazione non cresce in un momento così vantaggioso, se il sistema Paese non cresce con la disponibilità di elementi che non abbiamo mai avuto, secondo me c’è da essere molto preoccupati. Un sistema sano reagisce immediatamente, se ciò non accade significa che i mali di cui soffre il sistema, sono gravi. Per cui fa specie che la politica sottovaluti questi segnali». Cosa dovrebbe fare? «Intanto diventare consapevole, quindi mettere in fila le priorità, dal recupero dei 9 punti di ricchezza perduti che significano 9 milioni di posti di lavoro in Italia, alcune decine di migliaia in Fvg, e agire di conseguenza». La Regione che sta facendo? «Vanno riconosciuti i meriti della giunta Serracchiani che cerca di creare le condizioni competitive. Il Rilancimpresa di Bolzonello va bene, certo, ma anche in questo caso rileviamo che sta usando solo i fondi strutturali della Ue e non un euro di risorse proprie. Bene le riforme, a partire dalla sanità, ma ci vuole più concertazione, e soprattutto ci vuole il coraggio di investire sul lavoro».