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L’IRA DEI DIPENDENTI PUBBLICI: IN 50MILA IN FVG PRONTI A SCIOPERARE

Da Il Messaggero Veneto All’appello hanno risposto in centinaia. Affollando alla spicciolata i due auditorium della Regione. Ieri mattina a Pordenone. Nel pomeriggio a Udine, dove a decine sono stati costretti fuori dalla sala, andata sold-out. Una risposta così, forse nemmeno il sindacato se l’aspettava, segno tangibile del grado d’insofferenza raggiunto dai dipendenti pubblici per il mancato rinnovo del contratto. Votare lo sciopero ieri non è servito. Quando i segretari regionali Mafalda Ferletti (Fp-Cgil), Massimo Bevilacqua (Cisl-Fp), Maurizio Burlo (Uil-Fpl), Paola Alzetta (Cisal) e Fabio Goruppi (Ugl) hanno proposto alla folta platea la data del 25 maggio per lo sciopero, la risposta della platea è stata un applauso caloroso. Scrosciante. Un’adesione d’impulso, di chi, a sei anni dall’ultima volta, si prepara a incrociare le braccia e se necessario a scendere in piazza. La decisione è dunque presa e oggi sarà sottoposta per il via libera definitivo ai lavoratori riuniti in assembla a Gorizia e Trieste. Presa, ma non ancora formalizzata. Per correttezza il sindacato ha deciso infatti di attendere l’esito della riunione con la delegazione trattante, fissata per l’11 maggio, e solo alla luce di quella procedere o meno con la proclamazione dello sciopero. La legge prevede infatti che le organizzazioni sindacali, passate per il tentativo di conciliazione in Prefettura, diano comunicazione ai datori di lavoro della protesta con atto formale. Almeno 10 giorni prima della data scelta. «Aspettiamo di sentire cosa ci diranno l’11, poi procederemo», ha detto ieri a margine dell’assemblea di Udine Ferletti, senza nascondere lo scetticismo rispetto all’appuntamento, guardato – parola dei sindacalisti – alla stregua di una «presa in giro» per la data scelta, appositamente in là nel tempo, e accompagnata da un ordine del giorno che non fa alcun cenno alla questione “madre” del rinnovo contrattuale. Chiamati in causa dallo sciopero sono in Fvg circa 50 mila lavoratori. Dai 14 mila del comparto pubblico ai 20 mila della sanità passando per le cooperative sociali, che prestano servizio per il pubblico, ma i cui lavoratori hanno contratti privati, e ancora per le Ater, le Camere di Commercio, i dipendenti in forze ai vari uffici periferici dei ministeri. Il principale imputato di ieri è stato il Governo. Nella sua declinazione nazionale e regionale. «La riforma del comparto unico si riduce a una mera riforma della dirigenza e nulla dice a proposito degli altri 14 mila dipendenti per i quali si rifà alle future norme nazionale. Cancella, con un paio di articoli, la storia della contrattazione del comparto unico», ha detto ieri Ferletti, critica in modo graffiante anche riguardo alla riforma Panontin. «Ci sono solo sei Unioni che hanno inserito nei rispettivi statuti la clausola di riassorbimento del personale», ha denunciato la sindacalista. Non una banalità. In assenza di quella clausola infatti i dipendenti che transiteranno alle Uti, dovessero le Unioni essere scolte, chiuse, cancellate, si ritroverebbero a rischiare il posto. «Una lacuna – ha aggiunto la cigiellina – che va colmata». Modificando gli statuti o siglando un accordo contrattuale che a sentire i sindacalisti per le Uti ci vorrebbe a prescindere. «Parliamo di enti giuridici e non si capisce perché i lavoratori che vi saranno destinati, da Comuni, Province e Regione, si troveranno la lavorare con tre contratti diversi», ha denunciato dal canto suo Bevilacqua. La “requisitoria” è durata due ore. Corse dai sindacalisti a rotta di collo, quasi senza respirare, cercando di dar conto delle tante ed eterogenee difficoltà patite dall’affollata platea di lavoratori. Ancora qualche esempio. Il personale delle Camere di Commercio, che in Regione passeranno da 4 a 1, rischia un taglio del 25%, pari a 75 lavoratori. I dipendenti del comparto, dimagriti di 2 mila unità nel corso degli ultimi anni e senza rinnovo contrattuale dal 2009. I mille posti “saltati” in sanità, che ha pagato salato il mancato turnover, con 400 mila ore di straordinario e 300 mila giornate di ferie non fruite nel 2015. Assunzioni, rinnovo dei contratti, formazione e sanatoria per talune categorie assunte a suo tempo con titoli di studio oggi insufficienti (vedi gli educatori) sono le scottanti questioni poste sul tavolo delle parti sociali. «E non facciamone una questione di risorse – ha concluso Bevilacqua –. Quelle ci sono. Basti pensare che il mancato turnover in Fvg ha consentito di risparmiare 400 milioni di euro».