Top
 

Comunicati

Cisl FVG > Archivio informativo  > Comunicati  > Lavoro e delocalizzazione: la difesa dei diritti. Fania al convegno organizzato dall’Iscos Fvg

Lavoro e delocalizzazione: la difesa dei diritti. Fania al convegno organizzato dall’Iscos Fvg

Udine, 7 ottobre 2010

Grazie per la preziosa occasione di intervenire quest’oggi.
Siamo infatti in un passaggio decisivo della crisi mondiale, dopo che abbiamo fatto fronte, come forze sociali assieme alle Istituzioni, ai momenti di più stretta emergenza, dobbiamo oggi riflettere come vogliamo che cambi quel mondo che ha dimostrato di non reggere e che ha messo in difficoltà milioni di donne e di uomini, le loro famiglie e comunità. E non solo in Italia, anche nei Paesi non ancora toccati dal benessere e dallo sviluppo, o che si stanno tumultuosamente e pressoché senza regole al grande mercato internazionale.
 
Un ampliamento della prospettiva è particolarmente utile e necessario, visto che l’interconnessione pressoché istantanea dei mezzi di comunicazione ha rimesso in gioco forze ed economie che sembravano perennemente depresse e che oggi, dopo la caduta del Muro e l’11 settembre, ritroviamo praticamente sotto casa nostra.
 
Tra le questioni più urgenti, quelle della riconversione industriale e produttiva, oltre che della conformazione del mercato del lavoro a livello internazionale sono le più pressanti e urgenti. Abbiamo molti esempi sottomano di imprese che, più o meno apertamente, chiudono i battenti e spostano le loro produzioni lasciando nell’inoccupazione e nel bisogno centinaia e migliaia di lavoratori e le loro famiglie.
 
In realtà, in mancanza di studi empirici ed esaurienti sulla reale consistenza del numero di posti di lavoro perduti in seguito a processi di delocalizzazione, il problema che si pone è quello della formazione e della ricollocazione dei lavoratori e sul cambiamento della struttura produttiva delle aree maggiormente segnate dal fenomeno. Infatti, la sfida delle parti sociali è di intervenire con decisione nelle situazioni in cui un’azienda riduce sensibilmente i suoi effettivi in un breve lasso di tempo e ciò comporta una forte riduzione del volume di lavoro o la chiusura dell’azienda stessa; e quando, nello stesso periodo, l’impresa aumenta l’importazione da un determinato Paese di beni dello stesso tipo di quelli che produceva in precedenza.
 
Il mutare del profilo della concorrenza a livello internazionale può avere, quindi, due effetti: o una repentina riduzione dell’occupazione nel brevissimo periodo, oppure nel medio periodo la chiusura dell’impresa, sopraffatta dalla competizione globale. E’ chiaro ed evidente il ruolo che possono e devono giocare le parti sociali per accompagnare ed intervenire attivamente in questi processi. La risposta che un sindacato serio e responsabile è, in primo luogo, quello di garantire i posti di lavoro, coniugando i diritti associati al lavoro con i dovuti miglioramenti nella produttività, che permettano all’azienda di guadagnare nuove fette di mercato, eventualmente portando anche a nuove assunzioni nel territorio.
 
Questo tipo di approccio risulta particolarmente difficile nelle realtà produttive di piccola e media dimensione, che si stanno lanciando anch’esse nel “mare nuovo” delle possibilità di speculazione e di “dumping” sociale che i Paesi di più recente industrializzazione offrono per allettare gli investitori. Tra i quali, occorre ricordare, si trovano le più diverse intenzioni e motivazioni, e queste ultime non tutte dettate dalla ricerca sana di una produzione efficace e rispettosa dei diritti dei lavoratori.
 
Questi, poi, frammentati e dispersi tra legislazioni differenti, trovano sempre maggiore difficoltà ad unirsi, raccordare le proprie rivendicazioni e far valere quei valori e quegli strumenti che il Sindacato italiano ha saputo sviluppare e coinvolgere nel corso della sua storia. Nell’economia globalizzata, ogni piccola variazione in un parametro dei fattori produttivi, risorse primarie, finanziarie e della forza lavoro, rappresenta un divario da sfruttare e spingere al ribasso, facendo pressione su Governi e anche su forze sociali poco strutturate.
 
In questo contesto si inserisce, prioritariamente, la spinta del sindacato a promuovere legami e solidarietà tra i lavoratori, a prescindere dalle frontiere economiche e soprattutto politiche, sempre più evanescenti ed incerte. Non sentirete mai protestare il sindacato contro quei lavoratori all’estero che “ruberebbero” l’occupazione agli italiani. Semmai, sentirete ripetere il richiamo che proviene dall’Enciclica “Rerum Novarum”, che già nel 1893 sosteneva al Punto 17:
“Principalissimo poi tra i loro doveri è dare a ciascuno la giusta mercede. Il determinarla secondo giustizia dipende da molte considerazioni: ma in generale si ricordino i capitalisti e i padroni che le umane leggi non permettono di opprimere per utile proprio i bisognosi e gli infelici, e di trafficare sulla miseria del prossimo.”
Parole di un’attualità sconcertante e che non hanno bisogno di essere commentate, se non per ricordare che alla globalizzazione della finanza non può che accompagnarsi la “globalizzazione dei diritti” dell’uomo e del lavoratore, che dalla sua opera trae sostentamento per sé e la propria famiglia.
 
Sembrano accenni ridondanti o antiquati, eppure basta aprire un qualsiasi giornale per leggere delle spaventose condizioni di lavoro di molte fabbriche, anche italiane!, che applicano in Cina o in altri Paesi dell’Estremo Oriente o in altri continenti, condizioni di lavoro vergognose per un onesto e rispettabile datore di lavoro. “Lontano dagli occhi…” dice il proverbio. Eppure oggi i mezzi per fare informazione e conoscere queste situazioni sono a disposizione di tutti, e proprio le organizzazioni dei lavoratori devono sentirsi in prima fila nel fare la loro parte e farla bene.
 
Dobbiamo quindi considerare le due sponde di questo movimento di mezzi, conoscenze e produzioni che abbiamo sintetizzato sotto l’etichetta “delocalizzazione”. Da un lato l’Italia, il nostro Paese, e dall’altro tutte le diverse e molto differenti tra loro realtà che stanno dall’altra sponda.
 
Dal lato dell’Italia, a delocalizzare verso i paesi emergenti sono principalmente imprese manifatturiere, produttrici di merci a basso valore aggiunto, come il tessile, l’abbigliamento, la lavorazione di cuoi e pellami, del legno, e più in generale tutte le attività che richiedono mano d’opera poco specializzata, facilmente reperibile, a basso costo, nei paesi meno sviluppati. Anche le industrie a forte specializzazione tecnologica migrano le produzioni verso questi Paesi, ma solo per quanto riguarda il confezionamento dei prodotti; le attività di ricerca e sviluppo restano invece nei Paesi occidentali. Proprio per questo è più toccata dalla delocalizzazione la mano d’opera non specializzata di qualsiasi settore, penalizzata dai bassi salari dei Paesi in via di sviluppo che attirano le produzioni non qualificate, alla ricerca di facili guadagni di produttività e nell’ambito dell’esternalizzazione di alcune attività verso i servizi.
 
Non tutte le aziende hanno comunque le dimensioni per delocalizzare, e quindi devono essere spinte ad allontanarsi dalle tentazioni di gettare la spugna, ma a rilanciarsi attraverso strumenti come la contrattazione territoriale coordinata col pubblico, i contratti di solidarietà, il sostegno delle Camere di commercio per la crescita dimensionale e l’integrazione funzionale… senza dimenticare che i lavoratori sono anche consumatori e che pertanto lo spostamento e l’annullamento di consistenti quote di reddito fanno diminuire in proporzione la capacità di spesa delle famiglie e del sistema nel suo complesso. Le associazioni imprenditoriali farebbero bene a non dimenticarlo.
 
D’altro canto, stiamo assistendo – a prescindere dal fenomeno della delocalizzazione – alla crescente sfilacciatura del tessuto industriale del nostro Paese. Non è questa la sede per approfondire la fondamentale importanza che il manifatturiero ricopre per una moderna economia occidentale. Ma lo spostamento di attività verso Paesi terzi sta dimostrando evidenti segnali di accelerazione. Pur rimanendo una delle principali forze industriali a livello globale, in questi anni l’Italia ha evidenziato preoccupanti segnali di deterioramento della propria posizione internazionale in termini sia di riduzione della quota di occupazione, sia della propria consistenza nel valore aggiunto totale, con costanti e crescenti ricadute sulla nostra bilancia commerciale.
 
Sotto il profilo dei Paesi in cui si delocalizza, invece, osserviamo che oltre la metà delle nuove attività provenienti dall’Italia avviene in realtà ad alto tasso di sviluppo, soprattutto Cina (tessile, plastica, componentistica), Brasile (automobili, da anni non recenti), area mediterranea (agro-alimentare) e del Sud-Est Asiatico (chimica, abbigliamento): la scelta dipende di frequente da una logica di ristrutturazione e di joint-venture più che a una ricerca di minor costo di produzione, principalmente tra i grandi gruppi industriali che trattano automobili, farmaceutici, prodotti elettronici e prodotti ad alta tecnologia in genere, che richiedono ricerca e specializzazione. Ora, proprio una formazione specialistica e la qualificazione continua del personale sono, anche in questo caso, le armi più potenti in mano ai lavoratori per opporre una forza reale alle pretese ingiuste ed eccessive che troppo spesso vengono loro fatte.
 
In sintesi, il ruolo della cooperazione, sociale ma sindacale innanzitutto, è decisivo proprio in questo senso: attraverso la formazione e la crescita di nuovi quadri dirigenti del sindacato locale, lo scambio di informazioni e buone pratiche, i viaggi-studio, la creazione di contesti locali favorevoli e lo sviluppo delle comunità locali in cui i diritti dei lavoratori devono trovare il loro naturale sviluppo.
 
La Cisl, sindacato dell’innovazione e della responsabilità, promuove così un’adeguata governance dei fenomeni, in Italia e nel contesto internazionale, perché “globalizzazione dei diritti” non sia un mero slogan, ma una seria azione di contrasto al “dumping” sociale che calpesta i diritti e ferisce le persone.
 
Ringrazio ancora l’Iscos regionale per l’opportunità di poterci confrontare oggi e auguro a tutti un buon proseguimento dei lavori.
Giovanni Fania,
segretario generale Usr Cisl Fvg