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Assemblea di studenti e visioni del futuro

Dibattito L’assemblea degli studenti dell’Istituto tecnico J. F. Kennedy ha riempito, il 2 febbraio, l’auditorium Concordia di Pordenone, in un clima di “metà festa, metà impegno”, con quell’attenzione e partecipazione, che soltanto a quell’età si può avere. I ragazzi che avevano in mano l’organizzazione ci hanno accolti con gentilezza, direi con professionalità. Si è iniziato con una spiegazione di Flavio Moro della normativa e delle possibilità (e necessità), imposte dalla riforma del sistema pensionistico, per le forme di pensione complementare… Il messaggio è chiaro: attivare subito (appena entrano nel mondo del lavoro) un fondo pensione in modo da diminuire il divario tra la loro futura retribuzione e la pensione che percepiranno. Roberto Zaami della Uilm ha fatto un excursus sulla politica e gli accordi del mondo del lavoro dall’autunno caldo (1969) ai nostri giorni. Sono soltanto pochi anni, ma per i nostri giovani alcuni passaggi sono da classificare nella materia “storia” (per noi è attualità!). Cristano Pizzo della Fim Cisl ha invitato i giovani a leggere la realtà con la propria testa, a prepararsi anche a competere, cercando sempre aggiornamento e ricchezza nella loro futura professione. Tra questi interventi quelli degli esponenti della Fiom, Flavia Valerio e poi di Walter Zoccolan. Questi due interventi mi hanno fatto molto pensare. Ho capito che le differenze tra Cisl e Fiom, sono molto profonde. La Cisl ha affrontato, anche con una posizione difficile, il tema delle riforme per cercare nei prossimi anni un sistema competitivo e che dà lavoro, la Fiom viceversa vede il futuro in una titanica resistenza: tutto è in decadenza, tutto si sta logorando, persino la democrazia resisterà «…ancora per poco». La globalizzazione è un nemico che intanto si affronta collocandosi, contro o pro (loro sono contro e noi saremmo pro(?)…). La competizione è inaccettabile perché si riduce soltanto alla competizione tra gli operai. Le riforme sono sciagure che impoveriscono gli operai, che non hanno causa nella situazione oggettiva, ma sono scelte perché uno schieramento politico avverso ha votato una legge (quindi basterebbe un’altra legge per risolvere la questione). La vicenda della Fiat inizierebbe un modello autoritario che pone fine alle conquiste democratiche del sindacato e che presto diverrà il modello universale (autoritario) del mondo del lavoro in Italia. La fabbrica diventa un luogo forzato, cupo, triste, logorante, in cui spariscono le belle o le brutte giornate perché il ritmo è segnato dalla catena a cui non ci si può ribellare pena la penalità nella busta paga. Unica via di uscita offerta ai ragazzi è una dura lotta (senza poi neanche molta speranza di vincere), «…per mantenere quello che i vostri nonni e vostri padri hanno conquistato…». Nessuna traccia a quella posizione comune ai sindacati e che è ancora nella Cisl che vedeva e rivendica nel lavoro un motivo di autonomia, di realizzazione, di conquista di un ruolo… oltre della possibilità di vivere… (peccato che nel frattempo la disoccupazione giovanile sia volata al 25%). Che destino tremendo – penso – per questi giovani, nessuna visione autonoma, nè pregi né difetti di un futuro difficile, ma tutto da scrivere, il futuro dei giovani è assolutamente originale, mai il mondo si è trovato così vicino, mai così comunemente i giovani conoscono nuovi linguaggi, frequentano nuove culture, viaggiano, studiano, interpretano autonomamente, anche in questi anni di crisi. Nessuna speranza per voi che entrate nelle fabbriche, sembrano dire i due esponenti della Fiom che alla fine propongono un gioco con i ragazzi chiedendo di imporre le braccia alzate e di provocare la stanchezza dei giovani per fargli capire che la fabbrica non lascia la possibilità di “abbassare le braccia”, ma impone la posizione forzata, il dolore, la innaturale postura. I giovani stanno al gioco fra risate e trasgressioni. Tutto finisce con la ricreazione e le scolaresche che con allegria riprendono il passo verso l’Itis. Il lavoro è qualcosa di più avvincente in cui concretamente cose buone e cattive coesistono, nonostante qualsiasi “teologia della liberazione” e in cui il sindacato lotta contro le cattive. La vita non è determinata dalle vittorie o dalle sconfitte dei padri, ma dalle vicende nuove che vivono le generazioni che entrano nel campo di gioco della storia. Le generazioni più vecchie ormai incapaci di rinnovare, dovrebbero uscire dal campo del potere (invece in Italia comanda una gerontocrazia). Sappiamo che la crisi ha messo a nudo contraddizioni e la nostra speranza di non affrontare esagerazioni e limiti dell’attuale modello. I giovani devono stabilire nuovi limiti. Io spero che lo facciano in un quadro di etica, libertà e giustizia per tutti. Il sindacalismo italiano è sempre stato lì su questi temi e forse anche per questo oggi è l’unica organizzazione di massa che resiste in Italia (nonostante continui attacchi). Certo i guai e le ingiustizie non mancano e molte sono state ricordate agli studenti, ma ai giovani dobbiamo lasciare la speranza ed il desiderio per il domani e la possibilità che non difendano solo la nostra giustizia ma che conquistino la loro. Quindi diamo speranza ai giovani, una speranza che il sindacato, almeno una sua parte, cerca di far diventare collettiva. Questo ai giovani lo dobbiamo! 

Arturo Pellizzon
segretario generale Cisl Pordenone