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CON L’ARTICOLO 8 PIÙ FORZA ALLA CONTRATTAZIONE AZIENDALE. SULLE DEROGHE ALLE NORME LEGISLATIVE NECESSARIA SPERIMENTAZIONE

di Giorgio Santini – Segretario Aggiunto Cisl
Per affrontare in modo proficuo i temi legati alle norme contenute nell’art. 8 è
necessario non farsi troppo condizionare dalla “tempesta mediatica” che lo ha
impropriamente ma strettamente identificato con la cancellazione dell’art. 18 dello
Statuto dei Lavoratori.
Per questo motivo la Cisl ha dichiarato a priori che su questo punto non intende
avvalersi della facoltà previste dall’art.8.
Sgombrare il campo da questo equivoco è una pre-condizione per poter invece
valorizzare gli aspetti positivi ed importanti contenuti nell’art. 8.
Infatti, fin dalla sua definizione “sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità” emerge chiaramente la finalità della norma di riconoscere e rafforzare anche sul piano legislativo la tendenza dello spostamento del baricentro della contrattazione collettiva verso gli accordi aziendali e territoriali in atto da alcuni anni, in particolare dopo l’Accordo Interconfederale del 2009 sulla riforma degli assetti contrattuali e in misura ancora maggiore dell’Accordo Interconfederale del 28 giugno, che viene esplicitamente richiamato nella norma stessa.
In particolare con l’art. 8 vengono valorizzate le associazione dei lavoratori
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, lo stretto
collegamento con le loro rappresentanze sindacali operanti in azienda, la necessità che gli accordi, per avere efficacia generale, siano sottoscritti sulla base di un criterio maggioritario tra le rappresentanze sindacali aziendali, siano esse Rsu o Rsa.
Viene pienamente assunto e rafforzato con la norma di legge il contenuto
dell’Accordo Interconfederale del 28 giugno soprattutto nella sua parte più
innovativa relativa alla efficacia e validità generale di un accordo aziendale approvato
dalla maggioranza delle rappresentanze sindacali, anche nei confronti di chi
eventualmente non avesse siglato o condiviso l’accordo stesso.
Nella concreta esperienza italiana attraversata proprio su questo specifico aspetto da molte tensioni e da visioni radicalmente diverse, che hanno portato sovente a ricorsi alla magistratura per invalidare accordi regolarmente sottoscritti ed approvati, questo rappresenta una importantissima innovazione ed un punto fermo di grande importanza per il presente e per il futuro delle relazioni sindacali nel nostro Paese.
In questo ambito, positivamente, sono stati ricompresi e validati sul piano legislativo gli accordi raggiunti in data anteriore al 28 giugno se approvati dalla maggioranza dei lavoratori, come è avvenuto nel caso degli accordi del Gruppo Fiat.
Con la piena agibilità e l’efficacia erga omnes gli accordi aziendali diventano ora
pienamente utilizzabili in funzione dello sviluppo delle aziende e, con esse, del
sistema economico.
Essi potranno essere fattore propulsivo in tutte le realtà nelle quali sono necessari investimenti produttivi per dare prospettive più solide alle imprese, a partire da quelle in crisi, per rafforzare l’occupazione, per migliorare il mercato del lavoro, stabilizzando i rapporti di lavoro temporanei e facendo emergere il lavoro nero.
Di conseguenza la Cisl opererà nel prossimo futuro per dare piena attuazione
all’Accordo Interconfederale del 28 giugno in tutte le realtà industriali, operando nel contempo per estenderlo a tutti i comparti.
Nella sua parte più innovativa (e controversa) l’art. 8 apre una strada nuova,
prevedendo la possibilità che la contrattazione aziendale e territoriale, fermi restando il rispetto della Costituzione, delle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali sul lavoro, possa operare anche in deroga alle disposizioni di legge relativamente ad un nucleo di materie indicate nel comma 2 art. 8, principalmente derivanti dallo Statuto dei Lavoratori.
La finalità generale, condivisibile, è quella di rendere la regolazione legislativa più
flessibile laddove essa potesse essere in contrasto con opportunità di nuovi
investimenti, nuova occupazione, miglior produttività dell’azienda e maggiore qualità del lavoro e della sua remunerazione. Si ritiene che in questo modo le stesse tutele relative ai lavoratori possano essere rafforzate, soprattutto nei confronti di quei settori del mercato del lavoro oggi meno tutelati ( lavori atipici e temporanei ) o addirittura esclusi, in particolare i giovani.
È una prima traduzione della filosofia contenuta nella proposta di Statuto dei Lavori inviata lo scorso novembre dal Ministro del Lavoro alle parti sociali basata
esplicitamente su una funzione regolativa molto più forte della contrattazione
collettiva sull’organizzazione del lavoro, sugli orari di lavoro, sulla partecipazione dei lavoratori, cioè sui fattori per loro stessa natura più dinamici ed evolutivi, che spesso rischiano di essere ingabbiati da norme di legge rigide e datate.
Si tratta di un obiettivo ambizioso ma nello stesso tempo problematico che per essere realizzato necessita la massima condivisione possibile, a livello sociale ed istituzionale, dato che agisce sul delicato rapporto tra legislazione e contrattazione, rafforzando in modo significativo il peso della contrattazione, in particolare di quella aziendale, che in base all’art. 8 può agire direttamente in deroga ad alcune norma legislative.
Una norma così congegnata presenta, però, alcune problematicità.
Innanzitutto trattandosi di una norma non prescrittiva e obbligatoria ma facoltativa e quindi volontaria essa può esplicare i suoi effetti solo in presenza di una volontà ed un consenso dei soggetti legittimati alla contrattazione aziendale.
Questo in sé è un fatto positivo perché valorizza l’autonomia e la libera scelta delle organizzazioni sindacali e nel contempo le finalità positive delle eventuali deroghe, ma grandemente problematico perché la facoltà di deroga già oggi viene rifiutata a priori da organizzazioni sindacali tra quelle comparativamente più rappresentative, determinando con ciò in molte situazioni rischi concreti di paralisi attuativa.
In secondo luogo quando una norma legislativa viene derogata in sede di contratto aziendale pur con obiettivi condivisi di sviluppo ed occupazione, può costituire in via di fatto “precedente” e si può generare una pressione perché la stessa deroga si applichi in altre realtà aziendali, senza che ci siano gli stessi presupposti necessari.
Ancora, si potrebbe determinare una circostanza anomala in base alla quale un
accordo aziendale derogatorio ad esempio sulla responsabilità solidale negli appalti tra due soggetti legittimati in sede aziendale potrebbe determinare effetti (anche negativi ) su un soggetto terzo ( i lavoratori del sub-appalto ) senza che questo abbia potuto partecipare alla trattativa.
Per ridurre queste problematicità ed irrobustire il percorso di contrattazione
aziendale si può pensare ad una strada diversa.
Le intese modificative o le deroghe definite dagli accordi aziendali o territoriali,
secondo quanto previsto dall’Accordo Interconfederale del giugno scorso su materie molto ampie relative all’organizzazione del lavoro, agli orari, alla prestazione lavorativa nel caso si presenti la necessità di deroghe legislative, queste avranno carattere “sperimentale e temporaneo”. Nel contempo formeranno oggetto di avviso comune da parte delle organizzazioni datoriali e sindacali nei confronti del legislatore ai fini di una modifica o integrazione della norma legislativa in oggetto, ispirata certamente ad una semplificazione e tendenziale delegificazione in materia di lavoro ma con la necessaria attenzione agli effetti generali che si vengono a determinare.
Questa strada mantiene tutti i vantaggi nelle situazioni in cui la deroga legislativa può aiutare lo sviluppo dell’impresa e dell’occupazione, senza determinare, però, effetti collaterali negativi diffusi su tutto il sistema. Si verrebbe a costituire in questo modo una serie di “buone pratiche” che via via garantirebbero un cambiamento anche significativo della legislazione sulla base di esperienze condivise e positive, con minore conflittualità.