AUMENTANO I POVERI IN FRIULI
Intervento del segretario Roberto Muradore su La Vita Cattolica
Nel nostro Paese – secondo gli ultimi dati Istat – ben 3 milioni e 230 mila famiglie sono sotto la soglia di povertà relativa: significa che quei nuclei, se composti di due persone, spendono meno di quanto avvenga nella media pro capite del Paese, cioè 972,52 euro mensili. Per la precisione, la loro spesa media nel 2013 è stata di 764 euro mensili, in calo dai 793,32 del 2012.
Va ancora peggio al 7,9% dei nuclei, che sono sotto la soglia di povertà assoluta e quindi, secondo le definizioni dell’Istat, non riescono a sostenere la spesa minima necessaria per acquistare quei beni e servizi «considerati essenziali per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile».
In Friuli i dati sono un po’ contrastanti, ma la cruda verità afferma che almeno 50 mila famiglie vivono in difficoltà. A causa soprattutto della mancanza di lavoro. In Friuli-Venezia Giulia, le ore di cassa integrazione sono aumentate tra il 2007 e il 2013 da 2 milioni 800 mila a 25 milioni 400 mila. Tre giovani ogni 10 non lavorano, secondo l’ultimo rapporto Caritas. I consumi pro capite sono scesi addirittura di 7 punti percentuali tra il 2011 e il 2013. L’incidenza del rischio di severa deprivazione materiale dal minimo del 2,3% nel 2009 è in progressivo aumento; nel 2012 superava addirittura il 9,2%. Dati da far tremare i polsi. Ma peggiori ancora sono quelli del Friuli. I disoccupati nel primo trimestre 2014 registrano un’ulteriore impennata, superando complessivamente quota 47 mila, vale a dire +36,2% sul 2010. Se il trend della crisi dovesse continuare a questo ritmo, solo sul territorio udinese le ore di cassa integrazione ammonterebbero a fine anno ad oltre 15 milioni, pari a 9 mila 200 lavoratori sospesi dal mercato del lavoro.
«Poco consola poi la ripresa dell’export (+9,7% sempre sul territorio), se si pensa che c’è ancora moltissimo da recuperare in regione, ovvero 1,8 milioni di esportazioni perdute tra il 2007 e il 2013», sottolinea il segretario della Cisl, Roberto Muradore. Mentre sul territorio cresce in modo verticale il numero delle famiglie addirittura in stato di deprivazione (impossibilitate, cioè, ad affrontare una spesa imprevista di 800 euro) – tanto che la Cisl friulana, con Caritas e Acli, ha avviato una rete di primo sostegno contro le nuove povertà – Muradore lancia il suo messaggio alla politica: «Da troppi anni siamo abituati a sentire annunci. Ora urgono i fatti: a partire dalle politiche attive del lavoro, dalla formazione seria ed obbligatoria per chi esce dal mercato, dal rifinanziamento degli ammortizzatori sociali, dalla governance delle partecipate come Friulia, Mediocredito e Finest, passando per il comparto unico ed il pubblico impiego».
Dopo la lunga crisi economica, spiega la Caritas, la povertà in Italia non è più la stessa, a partire dal numero delle famiglie coinvolte: «L’aumento va dal 4,1%, pari a 970 mila nuclei di sette anni fa, al 6,8%, pari a 1,7 milioni del 2012». E se nel 2014 ci si aspetta un ritorno al segno positivo, seppur modesta, «è ragionevole ipotizzare che – come avvenuto in passato – la crescita possa portare con sé una riduzione della povertà assoluta, ma pare irrealistico immaginare un ritorno ai valori del 2007». Nel rapporto Caritas dei giorni scorsi non si lesinano dure critiche alle politiche economiche e sociali varate nel periodo della crisi e che non hanno dato una risposta ai poveri. Caritas rileva che «una misura nazionale contro la povertà assoluta continua a mancare nel nostro Paese». Se dal 2007 fino al 2013 (governi Berlusconi e Monti) «l’unica risposta» messa in campo è stata la Carta acquisti, la cosiddetta Social card, «uno sforzo limitato» ad avviso della Caritas, la politica economica del governo Letta «non ha aiutato le famiglie in povertà ma non ne ha neppure peggiorato le condizioni». Infine il bonus di 80 euro deciso dal premier Renzi: «Ha avuto qualche effetto sulla povertà ma di portata assai ridotta». Sul fronte dei servizi, invece, la crisi ha addirittura fatto sì che le politiche sociali siano state «vittime di un ulteriore indebolimento». In due anni, dal 2010 al 2012, la spesa dei Comuni su questo versante è calata del 6%, anche se in Friuli-Venezia Giulia rimane ai livelli più alti che nel resto d’Italia.
Una risposta alla povertà può arrivare dal reddito d’inclusione sociale (il cosiddetto Reis), auspicato dall’Alleanza contro la povertà in Italia, alla quale Caritas Italiana aderisce. «Diventerà realtà – sottolinea l’organismo della Cei – se il premier Renzi e il ministro Poletti faranno della lotta alla povertà una priorità politica e decideranno di affrontare questo flagello ripensando le attuali modalità d’intervento». Il Reddito d’inclusione sociale dovrebbe essere destinato a tutte le famiglie in povertà assoluta, di qualsiasi nazionalità, in possesso di un valido titolo di legittimazione alla presenza sul territorio italiano e ivi residenti da almeno 12 mesi. Ogni famiglia «riceve mensilmente – è la proposta richiamata nel Rapporto della Caritas – una somma pari alla differenza tra il proprio reddito e la soglia di povertà, così da disporre dell’insieme di risorse necessarie ad uno standard di vita minimamente accettabile». Trovare le risorse per finanziarlo, attualmente, è impresa quasi impossibile. Ma tentare non nuoce. In Regione, il Movimento 5 Stelle propone qualcosa di simile ma non coincidente. Il gruppo consiliare regionale ha presentato la petizione popolare con cui si chiede l’istituzione del reddito minimo garantito. M5S rilancerà la proposta nella discussione della legge di assestamento che va in Aula il 22 luglio. Per l’assestamento ci sono a disposizione 240 milioni di euro. Secondo l’assessore Panariti per il reddito minimo garantito servono circa 50 milioni di euro. «Solo nei primi tre articoli della legge abbiamo già individuato almeno 8 milioni di euro che possono essere risparmiati. Gli sprechi, insomma, abbondano».