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CONCILIAZIONE FLOP

Intervista della Segretaria Iris Morassi su La VIta Cattolica

Le politiche per la conciliazione lavoro-famiglia rappresentano un importante fattore di innovazione dei modelli sociali, economici e culturali e si ripropongono di fornire strumenti che, rendendo compatibili sfera lavorativa e sfera familiare, consentano a ciascun genitore di vivere al meglio i molteplici ruoli che gioca all’interno della nostra società. In Italia la normativa cardine in materia è rappresentata dalla legge 8 marzo 2000, n. 53, e proprio in agosto il ministero delle Politiche per la famiglia ha pubblicato le graduatorie di una parte dei progetti ammissibili per il finanziamento degli interventi previsti dall’articolo 9. Quanti sono i progetti di marca friulana? Ebbene, sono 2 su 138. Una vergogna. Iris Morassi è la Segretaria Regionale della Cisl del Friuli- Venezia Giulia con delega, tra gli altri, delle politiche della famiglia e «la Vita Cattolica» ha voluto sentirla a riguardo.

Perché così pochi progetti in Friuli?

«A livello provinciale si trovano aziende che sono sensibili e altre meno, ma il problema riguarda anche il livello politico, perché non basta legiferare. In Italia abbiamo leggi "a iosa" su questo argomento e sono vent’anni che se ne discute, però poi come farle applicare è tutt’altra cosa. Oggi poi è subentrata la crisi e i problemi più pressanti sono altri, e quindi rischiamo di perdere un treno importantissimo».

Come sindacato, che iniziative avete in cantiere?

«La sottoscritta nel mese di giugno ha chiesto proprio di fare un esecutivo "ad hoc" per riprendere in mano il tema della conciliazione lavoro-famiglia, dove saranno presenti tutti i segretari regionali e territoriali. Desidero ricordare che noi dal congresso precedente abbiamo inserito una donna in tutte le segreterie che fanno parte del coordinamento donne della Cisl. Dopodiché passeremo ai livelli provinciali e interloquiremo con Confindustria, Associazione piccole imprese, ecc., per chiedere un incontro alla Brandi (assessore regionale del Lavoro, ndr) e prendere in mano questo argomento che è assolutamente pressante. Non si possono lasciare queste tematiche "nel cassone dei ricordi"».

Sarà un tema che affronterete anche in sede congressuale?

«Ad autunno inizia la stagione congressuale che terminerà nella primavera del prossimo anno, e bisogna riportare questi argomenti all’ordine del giorno. Si pensi che i servizi sono assolutamente carenti, sia quelli che riguardano la cura degli anziani, sia quelli per i minori. Anche le “Tagesmutter” devono ancora iniziare a funzionare».

Perché?

«Sono stati fatti i corsi da parte degli artigiani, però l’operatività stenta a decollare. Pur capendo che non possono rispettare gli stessi vincoli di legge che hanno i classici asili nido, tuttavia chiediamo che ci sia un "occhio di riguardo" nella legge per l’alimentazione, l’individuazione del personale e la quantificazione degli spazi».

Come venirne fuori?

«La politica dovrebbe fare molto di più in questo senso. I servizi agli anziani e ai bambini sono quelli che poi liberano risorse. Si immagini che se il lavoro delle donne fosse "liberato" da questi vincoli – Francia docet – potremmo avere dall’otto al dieci per cento del Pil in più. È un Pil silente questo "sotto-utilizzo" delle donne nel lavoro, al netto della crisi, proprio per la mancanza di questi servizi. L’Italia è comunque maglia nera, e poi a livello regionale siamo carenti. Si è tanto parlato e discusso anche dell’aiuto in famiglia: negli ultimi dieci anni si dice che i maschi hanno aumentato di dieci minuti l’aiuto di cura, sia per quanto riguarda gli anziani che i bambini, comunque i servizi in genere non sono aumentati. Quindi rimane una maglia nera da cui bisogna cercare, al netto della crisi, di spogliarsi. Anche a livello di sindacato. Quando si parla di perdite di posti di lavoro così rilevanti – adesso c’è anche la Bernardi e sulla Safilo di Martignacco pende comunque sempre la spada di Damocle – è chiaro che si dà priorità a questi problemi. E forse sbagliando, perché invece si deve continuare a "battere il chiodo", per non avere norme che non sono applicate. Questo vale anche per le “Tagesmutter”. Poi c’è anche la burocrazia: se controllare l’idoneità degli spazi, del luogo, ecc… ti porta a stare fermo per tre anni…».