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DONNE E LAVORO, DISCRIMINAZIONE ANCORA APERTA

Intervento di Roberto Muradore e Renata Della Ricca, pubblicato su Il Messaggero Veneto La questione della discriminazione delle donne nel lavoro e dal lavoro è ancora irrisolta. In Italia, infatti, neppure una donna su due è occupata, solo il 40% ha un’occupazione contro il 70% dei maschi (- 30%). In quanto a parità di genere nel mercato del lavoro, su 135 nazioni esaminate, il nostro Paese è al 90° posto! Anche in Fvg le donne pagano un conto salato alla crisi poichè dalle 3.183 poste in mobilità nel 2007 sono passate alle 7.106 del 2012, giungendo al 44% degli iscritti alle liste di mobilità. Sempre in Regione, le donne disoccupate nel 2007 erano 10.850, nel 2012 sono aumentate a 19.506 (il 52% dei disoccupati totali) e rappresentano l’8,1% della disoccupazione, contro un 5,8% dei maschi. Sono, inoltre, i 2/3 dei giovani in cerca di prima occupazione. Ma più donne occupate avrebbero un impatto estremamente positivo sul Prodotto Interno Lordo: cento mila donne occupate in più lo accrescerebbero dello 0,3% e se fossero impiegate tanto quanto gli uomini il PIL crescerebbe addirittura del 13%! La busta paga di una lavoratrice, inoltre, è mediamente meno pesante di quella di un collega maschio di un 10/18%. Nelle fasce più preparate e acculturate accade esattamente il contrario di quanto si potrebbe pensare e la differenza salariale aumenta, giungendo addirittura al – 37%! Le ragazze concludono i percorsi formativi e scolastici più dei ragazzi, con un 78% che si diploma contro un 69% dei maschi, le laureate sono il 60,1% del totale, con voti più alti dei maschi. Nonostante ciò sono penalizzate nella carriera e non riescono a ricoprire, pur avendone le competenze, ruoli dirigenziali. Le quote rosa sono davvero necessarie in quanto per le lavoratrici non è sufficiente il merito e la bravura per essere riconosciute. Quando sono occupati entrambi i coniugi le incombenze familiari sono delle donne per più del 78%. Negli ultimi vent’anni il tempo dedicato dai maschi al lavoro familiare è aumentato solo di 30 minuti al giorno. Anche quando le donne lavorano a part time, sommando a questo le ore di impegno domestico, il loro orario complessivo è di 9 ore e mezza contro le 8 ore e 15 minuti dei maschi a full time. L’abbandono del lavoro per la nascita di un figlio, o comunque per le responsabilità familiari, è altissimo, vicino al 27%. L’organizzazione e gli orari del lavoro sono ancora pensati per il lavoratore maschio, ovviamente libero da incombenze familiari. La crisi, inoltre, fa sì che ci sia una contrazione dei servizi pubblici alle famiglie e molte donne, per necessità, ritornano a svolgere a tempo pieno e gratuitamente i lavori domestici, di cura e di assistenza, altrimenti troppo costosi. 2 E’ assurdo che ci sia qualche “teorico” della decrescita che possa affermare, testualmente, che “il welfare sembra un servizio per noi, ma è solo un servizio per far crescere il Pil. Cioè io lavoro di più perchè ho l’asilo nido e ho più tempo per far crescere il Pil”, offendendo così le tante, troppe donne che, proprio per la mancanza di adeguate strutture scolastiche e assistenziali, non possono lavorare, avere un loro reddito ed emanciparsi. La politica, quindi la legislazione, e anche il sindacato, quindi la contrattazione, devono concretizzare di più circa la tanto evocata, quanto disattesa, conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, altrimenti le donne, pur essendo la parte più istruita della nostra società giovanile, non saranno mai impiegate e valorizzate per quello che possono e sanno dare. Le imprese capiscano finalmente che una gestione friendly degli orari motiva le lavoratrici aumentando la produttività. E’ amaro constatare che se da un lato è sempre più difficile per le lavoratrici che ne abbisognino ottenere un tempo parziale, dall’altro sono principalmente le donne a subire il lavoro ridotto per colpa della crisi. E’ stato anche abbondantemente acclarato che una maggiore occupazione femminile aumenta il tasso di natalità e, particolarmente in Friuli, ce ne sarebbe davvero tanto bisogno. Lo squilibrio delle relazioni tra uomo e donna è il risultato di penosi retaggi socio culturali che nuociono gravemente alle donne in ogni aspetto della loro vita, non solo nel lavoro. Basti pensare che in Italia, fino al 1969, esisteva una legge che mandava in galera le donne che tradivano il proprio marito e che, fino a 32 anni fa, il Codice prevedeva il delitto d’onore, che non solo giustificava ma quasi rendeva onore a chi si macchiava di questo terribile crimine. I maschi si sentono addirittura i padroni della vita delle donne e il femminicidio, infatti, è una tragica realtà.