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EFFICIENTAMENTO E TUTELA REALE

Si è dibattuto molto sulla necessità di migliorare l’offerta pubblica e cioè della pubblica amministrazione, della scuola, della sanità, eccetera, ma si è fatto poco o nulla. La crisi, invece, impone un cambiamento. Le riforme, del resto, si fanno quasi sempre per necessità, raramente per virtù, e oggi si devono attuare senza risorse aggiuntive in quanto, a volte, mancano pure quelle per le spese correnti. La politica, che è la “proprietaria” della macchina pubblica, non si limiti a dire che la sua azienda non va, ma la faccia funzionare. E’ un suo preciso compito. Ridurre e semplificare le leggi, razionalizzare, efficientare e tagliare non soltanto per fare cassa. Va eliminato lo spreco e, nel contempo, elevata la qualità dell’offerta. Le due cose devono convivere: le spese vanno contenute e ridotte senza ritorni negativi per i cittadini e le imprese, così come un’azienda, per restare sul mercato, produce di più, con maggiore qualità e a costi invariati se non addirittura minori. Il sistema pubblico, inoltre, non è omogeneo e indistinto. Cambia da settore a settore, da zona a zona, da comune a comune, per cui bisogna entrare dentro ogni realtà e non restare al general generico. I tagli lineari fanno cassa ma non efficientano un bel niente. Nei singoli enti e territori vanno predisposti “piani industriali” mirati e dettagliati: ecco perchè è determinante il livello aziendale e/o territoriale di confronto e di contrattazione. E i dirigenti siano davvero tali e non “amici del giaguaro”, non boiardi di stato, ma civil servants. Esercitino il ruolo, utilizzino coraggiosamente le loro deleghe e i loro strumenti e rispondano dei risultati che, per evitare le auto promozioni, vanno poi valutati da soggetti terzi in quanto chi opera non ammette i propri limiti ed errori: in un’azienda seria, infatti, il controllo qualità è indipendente dalla produzione. Se è vero che nel pubblico più di qualcosa non funziona, è altrettanto chiaro che ciò che va bene spesso è merito dei singoli lavoratori “fannulloni” che tirano la carretta nonostante la non adeguata organizzazione del sistema e la complessità del quadro normativo. Fortunatamente non si è ancora persa la cultura del lavoro e della responsabilità, ma va sradicata la logica dell’adempimento fine a se stesso e promossa quella del risultato, della soluzione dei problemi. I pubblici dipendenti sono, ovviamente, da tutelare contrattualmente, ma va ridata loro quella considerazione sociale, quello status che si merita chi mette la propria professionalità e competenza al servizio della comunità. Negli accordi che Cgil, Cisl e Uil friulane hanno siglato con Confindustria, Confapi, Cna, Confartigianato, Centrali Cooperative locali e nel documento “Obiettivo Friuli”, elaborato dal Comitato Provinciale dell’Economia e del Lavoro, è indicata la necessità di una burocrazia snella e veloce. In effetti una amministrazione pubblica efficace è indispensabile all’economia e la politica, quindi, ne faccia un veicolo di sviluppo e non di freno. Nella nostra regione il Comparto Unico sarebbe uno strumento utile per offrire migliori servizi ai cittadini e alle imprese. Ci si è limitati, però, al Contratto Unico e oggi il Comparto, colpevolmente, è una tanto inutile quanto costosa “incompiuta” poichè non sono stati decentrati poteri e funzioni. La politica non pensi solo al consenso e alle elezioni, ma amministri responsabilmente e con rigore la cosa pubblica e il sindacato confederale non ceda a istinti conservatori e corporativi: non si butta a mare un Paese e una regione per qualche voto e per qualche iscritto in più! La tutela reale dei lavoratori, dei pensionati, dei cittadini si ha perseguendo il “bene comune” e costruendo il futuro, di tutti. Chi si attarda a conservare l’esistente sbaglia e farà pagare un prezzo molto alto soprattutto ai soggetti deboli. Un riformismo innovatore è davvero più radicale e incisivo di ogni sterile populismo, demagogia, massimalismo e antagonismo poichè incide sulle reali condizioni di vita della gente e non promette l’irrealizzabile.

N.B.: termini quali “responsabilità” e “riformismo” vanno utilizzati in modo appropriato e non ne va fatto scempio come, purtroppo, accade ultimamente.

di Roberto Muradore (da Messaggero Veneto)