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FAI CISL FVG, TUTELARE MEGLIO I LAVORATORI DELLA PESCA

Preoccupano la crisi legata al settore della pesca e la condizione in cui si trovano ad operare gli addetti, praticamente esclusi da forme di tutela adeguate. A lanciare l’allarme è la Fai Cisl del Friuli Venezia Giulia, che a Marano Lagunare (presente anche il segretario Fania) ha organizzato un vertice a tema, presentando una proposta di welfare innovativo a favore di chi vuol continuare a vivere di pesca. "Malgrado questa attività sia ormai riconosciuta come faticosa, logorante e pericolosa – entra subito nel merito la segretaria della Fai Cisl, Claudia Sacilotto – attualmente la legge non prevede un sistema di welfare soddisfacente per i pescatori, vittime di un sistema pensionistico disomogeneo, della mancanza di un sostegno al reddito e, addirittura per i lavoratori inquadrati nella piccola pesca e/o soci lavoratori, al non diritto alle indennità di malattia, maternità e disoccupazione". Se, infatti, nel 2008, in concomitanza con la crisi del "caro gasolio" è stata introdotta, e successivamente rifinanziata (anche se restano da sanare ancora le richieste del 2011) la cassa integrazione in deroga per i lavoratori della cosiddetta grande pesca, a rimanere del tutto scoperti sono i pescatori della piccola pesca. Una situazione insostenibile – per la Fai Cisl – aggravata da una crisi ormai strutturale del settore, che paga non solo i costi del gasolio, ma anche la riduzione della risorsa alieutica, l’inconsistente innovazione tecnologica e le stringenti norme europee. A fare le spese sono le imprese del settore, calate – a livello nazionale – di oltre 1.000 unità nel giro di 4 anni, attestandosi a circa 12.000, soprattutto di piccole e piccolissime dimensioni. Poco più di 400 sono, in particolare, i battelli operativi in Friuli Venezia Giulia (circa il 3,3% della flotta nazionale) e dediti alla pesca esclusivamente locale, dati i vicinissimi confini con Slovenia e Croazia che impediscono il mare aperto. L’equipaggio complessivo in regione conta circa 850 membri, per una media di 1,9 persone per battello e soprattutto per una media di giornate lavorate pari a 105,6, vale a dire circa 5 mesi. A suggerire la strada per garantire proprio questi lavoratori e fare in modo che la pesac torni ad essere un’attività redditizia è la stessa Fai Cisl, con i segretari nazionali Silvano Giangiacomi e Fabrizio Scatà. "E’ fondamentale – spiegano – introdurre un sistema di ammortizzatori sociali strutturali per garantire sicurezza, reddito e stabilità occupazionale, per assicurare il ricambio generazionale delle imprese, ma anche per permettere una diversa “modulazione” del fermo biologico". Ecco, dunque, l’idea sottoposta oggi anche a Federcoopesca, di introdurre per i lavoratori imbarcati a tempo indeterminato un sistema sul modello della Cisoa (prestazione economica erogata dall’INPS ad integrazione del salario che viene concessa ai lavoratori dipendenti di aziende agricole, sospesi dal lavoro per intemperie stagionali o per altre cause non dipendenti dal datore di lavoro o dal lavoratore). Un sistema che prevedia sia la cassa integrazione ordinaria, con un plafond di almeno 80/90 giorni/anno per lavoratore, sia di cassa integrazione straordinaria, ad esempio per ristrutturazione aziendale, manutenzione, crisi strutturale di mercato, ma anche impossibilità di svolgere l’attività per inquinamento. Una proposta che piace anche a Federcoopesca con Gilberto Ferrari che, preoccupato anche per l’insufficienza delle risorse attualmente a disposizione, auspica un pronto intervento da parte del governo. "Condividiamo questo progetto ambizioso per trovare un nuovo sbocco alla pesca".

Ufficio stampa Cisl Fvg