Flussi di ingresso dei lavoratori extracomunitari
Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri datato 30 novembre 2010 e concernente la Programmazione transitoria dei flussi di ingresso dei lavoratori extracomunitari non stagionali, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 305 del 31 dicembre 2010.
Ancora una volta la situazione crea imbarazzo e preoccupa fortemente.
In vista del primo click day del 31 gennaio 2011 permangono le perplessità non solo sulla procedura informatica che, nonostante le innovazioni apportate al sistema di compilazione e di invio delle domande, penalizzerà di fatto i datori di lavoro, soprattutto famiglie, che si rivolgeranno ai Patronati e alle associazioni, come già accadde nel 2007.
Il sistema di accoglimento delle richieste si basa infatti sul criterio cronologico (ora, minuto, secondo…) della ricezione delle domande da parte del Ministero dell’Interno, fino all’esaurimento dei posti disponibili (52.080 per il primo click day). Tutti gli invii, compresi quelli generati con l’assistenza delle associazioni o dei Patronati, verranno gestiti in maniera singola, domanda per domanda. Di conseguenza, proprio le associazioni e gli enti di Patronato, che avranno numerose domande da inviare, saranno oggettivamente svantaggiate rispetto alle richieste inviate autonomamente dai privati.
La preoccupazione si accompagna al dovere morale di informare i cittadini che si rivolgono ai Patronati e alle associazioni sul rischio che la loro domanda potrebbe non rientrare nella graduatoria per motivi connessi alla procedura telematica.
Queste complicazioni informatiche, si sommano ad altre perplessità che devono costituire materiale critico e che riguardano in primis la questione degli ingressi ad esclusivo appannaggio dei paesi firmatari di accordi con l’Italia.
Per la prima volta il decreto flussi determina una situazione per la quale gli ingressi per lavoro diverso da colf/badanti è limitata non già in via privilegiata ma, come si diceva, esclusiva ai paesi firmatari degli accordi. La possibilità di favorire detti paesi è, giuridicamente parlando, pacifica (art. 3 c.2 TU), ma può essa dispiegarsi senza un limite?
In altri termini, se è indubbio che, a legislazione vigente, lo Stato può decidere quanti lavoratori possono entrare e per quali mansioni, può tale discrezionalità spingersi fino a determinare una discriminazione dei lavoratori in base alla loro nazionalità? E tale assoluta discrezionalità può dirsi legittima ai sensi delle convenzioni internazionali OIL che vietano ogni forma di discriminazione?
Per quanto riguarda gli effetti del Decreto flussi nella nostra Regione e nella Provincia di Trieste altre importanti questioni, che generano perplessità, devono essere sottolineate. Queste perplessità riguardano:
a)le 30.000 quote del Decreto Flussi riservate a colf e badanti. Questa misura costituisce un’indiscutibile svantaggio per tutti gli stranieri, cittadini di Paesi che non abbiano una specifica riserva di quota su base nazionale, che vorrebbero fare ingresso in Italia per lavorare in altri settori dell’economia. Sul piano pratico, ciò significa che nessun lavoratore di Croazia, Serbia, Montenegro, Bosnia, Macedonia (solo per citare Paesi tra i più vicini al Friuli Venezia Giulia) potrà avere un visto d’ingresso per lavoro, a meno che non finga di essere, appunto, colf o badante. Considerata la situazione geografica della Regione e della Provincia di Trieste in particolare (notoriamente prescelta in massa da lavoratori dei Paesi balcanici sopraccitati, occupati in altri settori dell’economia – edilizia e cantieristica in primis), questa situazione creerà con gran probabilità un mercato di falsi datori di lavoro che venderanno a peso d’oro la propria disponibilità a inviare la domanda di nulla osta al lavoro, fingendo di essere datori di lavoro nel settore domestico;
b)il fatto che nel Decreto flussi 2010 sia stata inserita la possibilità per 1.500 cittadini stranieri che abbiano ottenuto il p.d.s. CE per soggiornanti di lungo periodo in un altro Paese dell’Unione europea di convertire tale documento di soggiorno in un p.d.s. per motivi di lavoro in Italia (1.000 come lavoratori subordinati e 500 come lavoratori autonomi), significa che dopo il 30 giugno 2011 (termine ultimo per l’invio delle domande di nulla osta al lavoro subordinato/autorizzazione al lavoro autonomo) oppure negli anni in cui in Governo dovesse non emanare il decreto flussi (come, per esempio, nel 2009), tali domande non potranno più essere inviate, bloccando quindi il diritto di queste persone a cercare lavoro in Italia. Questa pare una situazione non conforme al dettato della Direttiva europea 2003/109/CE;
c)il mancato inserimento dei cittadini croati di origine italiana tra quelli che hanno una riserva di quote per lavoro (art. 6 del Decreto flussi 2010) rappresenta un boomerang per il mercato del lavoro del Friuli Venezia Giulia e in particolare della Provincia di Trieste, regalando un alibi enorme al lavoro in nero dei cittadini croati. Ciò, soprattutto alla luce del fatto che nel 2007, su 500 quote autorizzate, 450 sono rimaste inutilizzate dai cittadini stranieri di origine italiana di Paesi sudamericani, che ben difficilmente decidono di venire in Italia a lavorare, dovendo fare un trasferimento intercontinentale.
Gli enti e le associazioni di "Una rete per i tuoi diritti" nel ritenere quanto mai urgente una modifica normativa che superi la logica dei flussi, consentendo forme più efficaci di incontro tra domanda ed offerta di lavoro, chiedono al Governo che, a legislazione vigente, la programmazione flussi di ingresso per lavoro avvenga su base almeno annuale e risponda a criteri di maggiore razionalità ed efficacia, evitando in particolare di penalizzare fasce di lavoratori stranieri sulla base della nazionalità.
Chiedono altresì che vengano finalmente considerate le esigenze delle aree, come quella del FVG, prossima a paesi europei non ancora facenti parte dell’Unione Europea ma con i quali vi sono evidenti e consolidati processi migratori per lavoro e per studio che l’Italia, anche nel proprio interesse, dovrebbe valorizzare in modo ben diverso da quanto finora avvenuto.