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INTERVENTO SUI COSTI DELL’ENERGIA

Il tema sollevato da diverse grandi imprese della regione sul costo dell’energia elettrica, che condiziona lo sviluppo degli investimenti o nuovi insediamenti manifatturieri in regione, come nel resto d’Italia, è un tema che è strettamente collegato al parco delle centrali elettriche oggi presente nel nostro Paese.
E le prese di posizione degli industriali, così come delle associazioni dei consumatori, confermano quanto la Flaei-Cisl e la Cisl stanno dicendo da tempo: chi non ha il controllo dell’energia non ha il controllo del proprio sviluppo.
Il Piano Energetico Regionale, che in Friuli Venezia Giulia è stato redatto nel 2007 in un conteso socioeconomico completamente diverso da quello di oggi, va nella direzione degli obiettivi dell’Unione Europea del 20-20-20: +20% di energie rinnovabili, +20% di risparmio energetico, -20% di emissioni di CO2 per contrastare l’effetto serra.
È grazie a questo piano energetico che il Friuli Venezia Giulia ha un numero di impianti fotovoltaici fra il più elevato d’Italia, così come ha avuto un forte impulso lo sviluppo della produzione elettrica da biomasse.
Ma queste fonti energetiche, essendo incentivate, da un lato portano benefici ai produttori, ma dall’altro comportano un aumento delle tariffe del mercato elettrico: le fonti rinnovabili sono finanziate dalle bollette di tutti gli italiani che si avvalgono ancora del mercato vincolato a cui attingono maggiormente famiglie, pensionati, piccole imprese. In pratica, per finanziare le fonti rinnovabili si prendono soldi dalle bollette dei poveri per darle ai ricchi (se è giusto incentivare il fotovoltaico familiare, è alquanto discutibile incentivare le grandi imprese che producono decine di megawatt/ora).
Fermo restando che è indiscutibile un sostegno per lo sviluppo della produzione da rinnovabile, si deve prendere atto che oggi esse non rappresentano la produzione più economica, sebbene la fonte sia a disposizione gratuitamente: sole e vento non si pagano e i canoni idrici sono molto bassi.
Così come non sono economiche e competitive le centrali a ciclo combinato alimentate a gas, a causa del costo della fonte primaria ancora legato all’andamento del petrolio; costo che si potrebbe ridurre notevolmente con la realizzazione di un rigassificatore. E a questo proposito male non sarebbe un intervento, anche politico, più deciso sull’impianto triestino.
Inoltre ci si deve chiedere se una produzione energetica intermittente, come quella del sole o dell’acqua che dipendono dalle condizioni meteo, sono compatibili con il sistema industriale regionale: la maggior parte dei consumi elettrici regionali deriva dall’industria siderurgica, una delle eccellenze della regione.
Proprio l’intermittenza della produzione rinnovabile, pone seri problemi alla rete elettrica di distribuzione che andrebbe adattata al nuovo sistema con pesanti investimenti per realizzare le “reti intelligenti” (smart grid), in grado di determinare e convogliare i flussi energetici dove c’è la richiesta di energia.
Un sistema elettrico è complesso: uno dei temi che non trova spazio nel dibattito è la riaccensione del sistema elettrico in caso di black-out estesi come quello del 2003. Un piano di riaccensione che oggi è ancora garantito dalle centrali termoelettriche di tipo tradizionale che attualmente sono piuttosto obsolete.
È quindi necessario che, assieme alle fonti rinnovabili, nel Piano Energetico Regionale siano coinvolte anche le grandi imprese elettriche che oggi usano acqua, aria e terreno della nostra regione, definendo un patto per e con il territorio.
Le imprese elettriche proprietarie di grossi impianti hanno presentato dei piani di sviluppo per ora sulla carta e alcuni di questi hanno sollevato perplessità nelle comunità locali.
La Regione, titolare della materia energetica, dovrebbe chiamare attorno ad un tavolo queste grandi imprese della produzione elettrica per avere conferma degli investimenti che intendono realizzare e che possono rappresentare un volano occupazionale per le aree di crisi. Ma al contempo la Regione deve stabilire con le aziende produttrici la compensazione per l’utilizzo del territorio regionale: non bastano le compensazioni che si fanno sui singoli comuni interessati; in tempi di crisi ci dev’essere la collaborazione per uscire dai campanili e pensare al benessere collettivo e non solo del proprio giardino.
Una proposta potrebbe essere la cessione a titolo agevolato di una parte della produzione elettrica generata dai grandi impianti (termoelettrici, a ciclo combinato, idrico, solare) alla Regione che poi potrebbe “girarla”, con un meccanismo da studiare, alla manifattura regionale per abbattere i costi della bolletta che per un impresa possono rappresentare anche decine di milioni di euro all’anno.
È quindi indispensabile creare le condizioni per il rilancio del tessuto produttivo elettrico e manifatturiero regionale, così come è stato fatto dopo il sisma del 1976: prima le fabbriche che danno lavoro, il lavoro porta benessere alle famiglie che possono poi investire nei consumi e quindi finanziare i servizi pubblici come sanità o scuole.
Ecco perché il controllo dell’energia è importante per lo sviluppo di un territorio: la politica ha il compito di governare il legame fra Economia e Territorio e una politica che non decide rappresenta un costo soprattutto perché fa scappare investimenti che possono portare benefici per tutti.
Gigi Sedran – segretario generale Flaei Cisl Fvg
Giovanni Fania – segretario generale Cisl Fvg