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Intervista a Giovanni Fania su Dossier Friuli Venezia Giulia a cura de Il Giornale

Nel bilancio Inail 2009, i dati regionali configurano una diminuzione del 14% degli infortuni nell'estremo Nordest, con un picco del -21,4% in provincia di Pordenone, rispetto al -10,3 di Gorizia, il -4,2 di Trieste ed il -14,9 di Udine. Che lettura offre dei risultati ottenuti sul territorio?
Si tratta di un calo evidente, ma purtroppo pesantemente condizionato dall'andamento della crisi. Non va, infatti, dimenticato che nel 2009 in Friuli Venezia Giulia oltre 70mila persone sono state, tra cassa integrazione e mobilità, espulse dal mercato del lavoro. La drastica riduzione degli occupati ha inevitabilmente prodotto una sensibile flessione degli infortuni. In particolare, la crisi del lavoro si è abbattuta proprio sulle piccole e piccolissime imprese, ovvero l'area più a rischio per quanto riguarda la sicurezza. A ciò, va poi aggiunto il quasi azzeramento delle ore di lavoro straordinario, che sono quelle dove si registra il maggior numero degli incidenti. Ci piace però pensare che il calo sia dovuto anche alle norme più stringenti ed ai controlli più severi introdotti dalla legge 81 del 2008. Quanto all'articolazione dei numeri sul territorio, rispecchia la composizione industriale con Trieste più vocata ai servizi, Pordenone e Udine con la loro densità di piccole e medie imprese e Gorizia con le grandi aziende che si appoggiano agli appalti.

Anche gli eventi mortali sono calati complessivamente del 23 per cento, come sono diminuiti gli infortuni che colpiscono gli stranieri. Qual è il ruolo della Cisl regionale nell’ambito della sicurezza sul lavoro?
Come Cisl abbiamo sollecitato e continuiamo a spingere, anche atraverso i nostri enti sul territorio, sulla leva della formazione, specialmente rivolta alle categorie più a rischio come gli extra comunitari e stranieri in generale, penalizzati anche dalla scarsa conoscenza della lingua. Abbiamo poi provveduto a mettere in rete i nostri RLS, che devono essere sempre più non solo figure di controllo, ma anche di contatto e relazione con i lavoratori. Crediamo che la via da perseguire sia quella di coniugare alla vigilanza costante, una formazione culturale dei lavoratori improntata al concetto di autotutela. E molto può fare anche la contrattazione di II livello, prevedendo incentivi economici alla sicurezza, ovvero premiando, in termini retributivi, i lavoratori e le aziende attente. Il nostro obiettivo è quello di far capire che la sicurezza è un vantaggio per tutti.

Nel 2010 la Regione Friuli registra un calo del 3,5% rispetto al 2009 – un dato migliore rispetto alla media nazionale. Quali politiche locali hanno consentito di raggiungere risultati migliori?
Un calo che – è bene ribadirlo – deve essere considerato un punto di partenza e non di arrivo e che può essere senz'altro migliorato se, per quanto riguarda la nostra regione, si riuscisse a creare una cabina di regia in tema di sicurezza tra gli assessorati alla Sanità (attualmente unico competente in materia), al Lavoro e alle Attività produttive. Si tratta di una strada su cui come Cisl stiamo spingendo da tempo. Resta il fatto che la flessione registrata va imputata sicuramente all'attività esercitata dagli ispettori e dall'aumento delle azioni di controllo e di repressione nei confronti delle aziende meno attente. E sicuramente molto hanno fatto che le iniziative di prevenzione ed il funzionamento degli organismi preposti, ovvero il Comitato regionale, che però – a nostro giudizio – dovrebbe svolgere un'attività ancora più stringente.

E’ tuttavia il settore dei servizi quello più a rischio, con un aumento degli infortuni dell'1,3%, risultando essere quello più a rischio (sanità 12,8% degli infortuni, commercio 10,3%, servizi all'impresa 10,2%, alberghi e ristoranti 8,5%). Come contenere il fenomeno?
Fermo restando che l'incidenza degli infortuni più gravi appartiene all'industria (prova ne sono gli ultimi episodi dei giorni scorsi legati al mondo delle costruzioni), il settore dei servizi, proprio per la sua altissima parcellizzazione e l'alto grado di mobilità, resta uno dei settori da tenere monitorato. La frammentazione, unitamente all'elevato numero degli addetti, rende probabilmente più complicati i controlli sulle singole realtà. Per questo crediamo che debbano essere elaborate politiche mirate e capillari, partendo da investimenti dedicati.

Rilanciare l’idea del distretto per coniugare sicurezza sul lavoro e una corretta gestione degli appalti. In che modi e tempi ritiene possibile realizzare questa proposta?
Il distretto, come alveo dove convogliano bisogni diversi, deve sempre più diventare luogo non solo di servizi, ma anche luogo di organizzazione delle attività legate alla sicurezza. Se rendiamo il distretto uno spazio vivo e trasparente, anche il controllo sugli appalti non potrà che essere più efficace. Sulla questione degli appalti va poi detto che urge, da parte della Regione, accelerare sulla elaborazione del Testo Unico per ristabilire delle regole "leali". Il vero problema, infatti, riguarda le procedure al massimo ribasso, che penalizzano le imprese oneste, lasciando ampi margini anche all'illegalità o comunque alle condizioni di sfruttamento che poi degenerano nell'insicurezza. Occorre per tanto anche in questo ambito una nuova cultura della trasparenza, che faccia leva sulle linee guida dell'Unione Europea che invita a far proprio il criterio delle procedure negoziate.