ITALRICAMBI, I DANNI DELLA SPECULAZIONE
La situazione della Italricambi, storica azienda friulana, è a dir poco paradossale ed insegna, purtroppo, come il sistema italiano sia troppo accondiscendente, salvo poi pentirsene, con gli imprenditori più "spavaldi"; ovvero con quelli che, anzichè investire sul lavoro, preferiscono la strada ben più facile della speculazione finanziaria.
La storia – denunciata a più riprese dal segretario della Fim Cisl del Friuli Venezia Giulia, Sergio Drescig e ieri in conferenza stampa – è tutta recente. Fino a cinque anni fa, infatti, sotto il vecchio titolare, la Italricambi vantava un nutrito portafoglio clienti, commesse mondiali e solidità strutturale, producendo nei suoi stabilimenti di Cividale e Flagogna, in provincia di Udine, ricambi in acciaio antiusura per macchine movimeno terra. Con un giro di affari, garantito anche dalle 72 maestranze (a cui vanno aggiunti i circa 30 dipendenti del sito veneto), attorno ai 30 milioni annui. "Insomma – commenta Drescig – eravamo in presenza di un’azienda accreditata sul mercato mondiale, ben quotata, in attivo e con una clientela consolidata, se non addirittura in crescita". Eppure malgrado la situazione florida, negli ultimi anni, pagando forse la crisi globale, l’azienda, venduta nel 2008 ad un gruppo di banche, ha incominciato a vacillare, a non avere i soldi neppure per acquistare la materia prima, ed il primo risultato sono stati i contratti di solidarietà e la cigo ordinaria per i dipendenti, da agosto scorso definitivamente a casa. Oggi – denuncia la Fim Cisl – il drammatico epilogo, con la scoperta che a danneggiare la Italricambi non sarebbe stata la crisi, ma operazioni finanziarie attualmente al vaglio della Procura di Udine, che ne sta esaminando la legittimità. Sembrerebbe, infatti, che gli attuali proprietari, appoggiandosi ad una sede fittizia in Lussemburgo della controllante Tech.Int System S.A., abbiano evaso il fisco per oltre tre milioni di euro, tra Irap e Ires. Senza contare che mentre accadeva tutto questo e i lavoratori venivano sempre più messi alle strette, sembra che l’amministratore delegato percepisse come stipendio 300mila euro all’anno, "da far invidia allo stesso Marchionne". "In tutti questi mesi che ci siamo battuti per i dipendenti di Italricambi – commenta Drescig – non capivamo come un’azienda sana potesse trovarsi in una situazione del genere, potesse, cioè, improvvisamente risultare compromessa nella sua attività, malgrado gli ordini e la clientela storica". Oggi viene alla luce un pesantissimo indebitamento – si parla di 20 milioni di euro – che certo incide negativamente sul futuro. Tanto che, proprio la scorsa settimana, è stato firmato, per tutti i dipendenti del gruppo, l’accordo per la cigo e la solidarietà per un anno e senza anticipo da parte dell’azienda, rispetto alla quale si vocifera anche di un azzeramento del capitale sociale. "Siamo molto preoccupati – rincara Drescig – per la situazione generale della Italricambi e attendiamo l’esito dell’indagine portata avanti dalla magistratura". Ma si teme anche l’effetto "domino", dato che l’amministratore di Italricambi detiene anche la proprietà di un’atra storica azienda friulana, le accierie Weissenfels di Tarvisio, attualmente cedute in "affitto" all’austriaca Pewag. Quanto al futuro, non resta che sperare nella cordata tutta italiana, ma ancora top secret, che si sta interessando all’Italricambi. "Per quanto ci riguarda – assicura Drescig- faremo in modo che la trattativa possa andare a buon fine per garantire continuità ad un’azienda strategica per il territorio e con una storia che non può essere cancallata con un colpo di spugna".
Ufficio stampa Cisl FVG