La Fim: «La crisi nel metalmeccanico non è affatto finita»
Duecento aziende coinvolte dalla crisi per un totale di 7 mila occupati, di cui 4 mila direttamente interessati attraverso cassa integrazione ordinaria e straordinaria e mobilità. Sono i “numeri” delle difficoltà del settore metalmeccanico in provincia di Pordenone ricordati ieri nel corso del direttivo regionale della Fim Cisl convocato, peraltro proprio per pare il quadro della situazione e dell’impatto della crisi in questo settore.
Non crede il segretario regionale, Alberto Monticco, ai «segnali di ripresa. La crisi c’è stata e c’è ancora, come dimostrano i numeri sulla cassa integrazione, sulla mobilità, sulle ristrutturazioni in atto». Nel Friuli occidentale i “fari” della crisi si sono appuntati su Electrolux, Zml, Luvata, Atec, Carraro, ma accanto a queste grandi aziende ce ne sono centinaia di piccole e medio piccole che si dibattono nelle difficoltà, non dimenticando «tutti quei lavoratori che per primi hanno pagato il conto, come i tempi determinati e i somministrati. La crisi quindi c’è – ha rimarcato Monticco – e a noi non sembra sia finita perchè i numeri non sono cambiati».
Fatta la doverosa premessa, la Fim riconosce alla Regione di aver bene operato «con le misure anti-crisi messe in atto nel 2009 e reiterate nel 2010, un atto necessario che ci ha permesso di limitare i danni e che ci potrebbe consentire un’uscita dignitosa dal tunnel». Ma dev’essere chiaro un fatto: «dobbiamo finirla di dire che usciremo dalla crisi meglio di come ne siamo entrati. Il nostro settore – secondo Monticco – ne uscirà peggio e non perchè sono diventato improvvisamente pessimista. La grande industria ha già distrutto definitivamente la filiera produttiva, stanno sparendo le aziende che erano le migliori, quelle che applicavano un orario di lavoro e un contratto, quelle che cercavano di dialogare con il sindacato. In alcuni territori è scomparsa l’imprenditoria locale rimpiazzata dalle multinazionali che, nella maggior parte dei casi, affidano l’azienda da gestire al manager privo di deleghe decisionali. La piccola industria cerca di resistere tagliando tutto quel che è possibile, anche gli investimenti, e questo per noi è un grave errore». Il sindacato ha l’obbligo «di costruire percorsi concordati e concertati che abbiano l’obiettivo di evitare un disagio sociale sempre più diffuso», di “esserci” nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro, e chiedere con forza tavoli di confronto reali, di merito, con le istituzioni.