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LA REGIONE GIOCA IN DIFESA

Intervento del Segretario Generale, Giovanni Fania, su Il Messaggero Veneto

E’ di questi ultimi giorni la notizia che la Danieli di Buttrio ha scelto di investire in Serbia, anziché in Friuli Venezia Giulia. Questa decisione solleva un problema tutt’altro che nuovo per la nostra regione, vale a dire come tornare ad essere davvero attrattivi. Gianpietro Benedetti, infatti, sa fin troppo bene che qui non ci sono più le condizioni per poter impiantare un nuovo stabilimento, mancando alcuni fattori determinanti: manodopera specializzata, ingegneri, oltre che costo dell’energia abbordabile e infrastrutture efficienti. E’ da almeno due decenni che in Friuli Venezia Giulia non si fanno più investimenti seri, preferendo la più cauta (?) politica del “non si può”. Spiace constatare che, malgrado le continue sollecitazioni provenienti tanto dalle parti sociali, quanto dalle forze imprenditoriali, talvolta anche assieme, la nostra regione abbia dimostrato di essere di fatto poco incline a sostenere  i processi di sviluppo. Eppure, in passato, proprio il Presidente Tondo aveva avuto l’intuizione di promuovere lo sviluppo attraverso l’innovazione, e la stessa intuizione è stata portata avanti nella legislatura Illy. Come spesso succede, però, la strada si perde quando si deve passare dalla teoria alla pratica.

Danieli va in Serbia perché è giusto che aziende di queste dimensioni siano "internazionali"; per reggere il mercato globale; per costruirsi un ponte prezioso verso la Russia. Senza contare che i Paesi in via di sviluppo, oltre che fornire materie prime, iniziano a chiedere di partecipare alla trasformazione dei prodotti. Parallelamente molte altre aziende stanno bussando alla porta dell’Est europeo dove, non solo i costi sono minori, ma è più facile fare impresa e creare opportunità di lavoro grazie anche al fatto che non c’è la burocrazia ridondante che scoraggia le attività imprenditoriali.

Il Friuli Venezia Giulia, che avrebbe tutte le carte in regola per tornare ad essere competitivo (a partire dalla posizione geocentrica, mai pienamente sfruttata) preferisce non giocarle, anteponendo allo sviluppo una politica industriale, e manifatturiera in particolare, stantia e chiusa in difesa. "Gioco" di difesa ben messo in campo anche in questa crisi. La domanda che, dunque, ci dobbiamo porre è come recuperare competitività in uno scenario globale profondamente mutato. La risposta sta nella consapevolezza delle nostre difficoltà: aziende e lavoratori tartassati sul fronte fiscale, infrastrutture carenti (terza corsia, superporto, rete ferroviaria?), costo dell’energia superiore addirittura del 30% rispetto ai Paesi limitrofi. Si tratta di criticità non nuove, dette e ribadite, ma di fronte alle quali si fa prevalere la polemica politica e, intanto e’ assolutamente insufficiente quello che si fa. Eppure di margini per crescere ce ne sarebbero. Oltre a rafforzare il manifatturiero, colmando i gap elencati, penso che, anche in una situazione di recessione e di crisi, si possano intanto sostenere meglio quei settori (anche se pochi) che tirano come, ad esempio, la green economy, da noi oggi prevalentemente incentrata sul fotovoltaico e che altrove è diventata una preziosa fonte produttiva di lavoro e fatturato (si parla di 42mila addetti impegnati nel fotovoltaico in Germania, a fronte del mille700 italiani e addirittura di 3,4 milioni di persone in Europa occupate in questi settori); ma penso anche a tutti i servizi legati alla cura della persona (infanzia e anziani) e che in Francia – sempre per portare qualche esempio vicino – hanno reso negli anni della crisi  ben 250mila nuovi occupati, mentre da noi questo genere di attività resta relegato nei sottoscala del lavoro nero. Come Cisl abbiamo espresso più volte le nostre preoccupazioni al presidente Tondo, convinti che in questa regione ci sia ancora molto da fare per tornare ad essere produttivi, competitivi ed attrattivi. A Paluzza, quando qualche mese fa ci siamo tutti riuniti – sindacati, imprese e Regione – per fare il punto della situazione, pensavamo che la sfida del governatore fosse proprio questa. Oggi i nodi sono ancora da sciogliere. Il problema vero non è più come tamponare la crisi, ma come ricominciare a crescere. In attesa che il tema assuma davvero una connotazione europea, a livello regionale – dove non partiamo certo dall’anno zero – c’è prima di tutto da capire se la politica si sia posta queste priorità e se sì come intenda declinare i processi di sviluppo che ci attendono. Un primo passo – per quanto ci riguarda – sarebbe quello di costruire quel tavolo più e più volte sollecitato e che fatica ad instaurarsi. Come Cisl ormai mesi fa abbiamo lanciato la nostra forte preoccupazione, ovvero che la politica fosse più interessata alle questioni proprie, che a quelle del benessere collettivo. Spiace constatare che i nostri timori non siano stati fugati. Di fronte all’anno horribilis che ci attende, ai problemi veri del Paese e del Friuli Venezia Giulia, la politica si sta perdendo in una estenuante campagna elettorale, bloccando qualsiasi intervento decisionale. Francamente credo che come noi, anche i cittadini siano stanchi di questo teatrino che non finisce di riservarci imbarazzanti colpi di scena. Noi non siamo per fomentare l’antipolitica e accogliamo il messaggio del presidente Napolitano, ma vorremmo che la politica ritornasse ad occuparsi davvero delle questioni che contano e desse un segnale forte in questa direzione. La politica, dunque, torni a fare politiche concrete e lungimiranti, necessarie soprattutto in questo momento in cui le risorse sono estremamente limitate, non c’è la possibilità di aumentare il debito e l’unica via di uscita è fare scelte anche "rivoluzionarie" contro lo spreco di denaro pubblico che ancora alberga in molti settori della macchina burocratica amministrativa e della sua pletorica organizzazione. In questo senso va anche il nostro appello affinché la specialità del Friuli Venezia Giulia non venga sprecata nel copiare lo Stato, ma utilizzata meglio di quanto è stato fatto finora. Come Cisl chiediamo maggiore sobrietà, una riduzione netta di eccessi e sprechi, uno snellimento dei livelli amministrativi e se condividiamo la riorganizzazione che la Regione sta portando avanti, vorremmo che rispetto ai processi di revisione ci fosse però maggiore condivisione, a scanso di decisioni troppo sbrigative. Così, ad esempio, quella di chiudere l’Agenzia regionale del Lavoro, mai necessari quanto ora con la cigs in aumento, anticamera di ulteriori licenziamenti. Come Cisl chiediamo di rivedere questa decisione.

Quello che in generale manca è poi una chiara definizione di strategie e strumenti: insomma un programma ben individuato ed organico degli interventi da mettere in campo. Le ricette non vanno solo annunciate, vanno realizzate partendo da assets precisi e dandosi un metodo di lavoro, che oggi manca, sapendo che il confronto con le forze sociali è tutt’altro che superfluo. Le nostre proposte sono già stata più volte presentate e per noi gli assets sono chiari: incentivi alle aziende che assumono, formazione (specialmente tecnica, anche universitaria); incrocio domanda/offerta per aiutare i giovani, politiche attive del lavoro che garantiscano la conciliazione dei tempi a beneficio delle donne, migliore definizione delle Finanziarie Fvg, infrastrutture materiali (elettrodotti, rigassificatori, strade, porti, ecc) e immateriali (hi-tech), bonifiche, Piano energetico, marketing territoriale, utilizzo maggiore dei fondi comunitari, spesso dispersi.

Credo, infine, che la politica anche regionale sottovaluti la consapevolezza dei cittadini che la drammaticità del momento richieda scelte coraggiose, impopolari, che costano anche sacrifici personali; quello che si chiede però è che queste scelte siano eque e non riguardino sempre i soliti (dipendenti e pensionati) altrimenti il consenso ottenuto da Monti praticando una politica lacrime e sangue, non si spiegherebbe.

La Cisl si aspetta uno scatto di orgoglio dalla politica regionale; non vorremmo, infatti, che le risposte fossero solo risate grilline. Con i crampi allo stomaco, chi ha perso il lavoro, i pensionati e i nuovi poveri forse non capirebbero…E nemmeno noi.