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LAVORATORI PIU’ TUTELATI CON I CONTRATTI AZIENDALI

Intervento del Segretario Generale, GIovanni Fania, pubblicato su Il Piccolo

Ci risiamo, ancora una volta la Cgil di fronte ad un’occasione concreta, svicola tirando in ballo i soliti veti. E’ da anni che questo atteggiamento condiziona pesantemente le relazioni sindacali nel nostro Paese, portando, ad esempio, alla firma di decine di contratti separati; oggi rischia di far saltare una delle poche opportunità reali per i lavoratori. Mi riferisco al tavolo per la produttività con i suoi 1,6 miliardi di euro da distribuire sulla detassazione e sui premi di produttività. In tempi di crisi come questi sarebbe una follia rinunciarvi, tanto più che il governo sta minacciando di ritirare le risorse se non ci sarà un accordo. Spiace, dunque, leggere l’intervento del segretario regionale della Cgil Franco Belci, che continua a fare confusione sui temi in questione e a non guardare né alle esigenze dell’oggi, né in prospettiva. Confonde, ad esempio, in un’ottica anacronistica, la produttività con i carichi d’orario, dimenticando che già da molto tempo all’interno delle aziende – e non solo tedesche! – a determinare appunto la produttività sono le condizioni legate all’organizzazione del lavoro e alla partecipazione degli stessi lavoratori ai processi produttivi e in generale alla vita dell’impresa. Asset fondamentale della produttività è, dunque, la contrattazione di II livello, che da anni come Cisl stiamo promuovendo su tutti i tavoli e in ogni posto di lavoro. Nessuno mette in discussione, come vorrebbe far credere il segretario Belci, il contratto nazionale, ma oggi, in un sistema economico sempre più aperto e dinamico, la competitività non può che trovare radice nella contrattazione decentrata, ispirata ad una collaborazione tra capitale e lavoro e finalizzata alla crescita e all’ammodernamento della macchina produttiva. Oggi – ed è un dato ineludibile, come emerso anche dal nostro recente Meeting d’autunno – il mercato premia la capacità di imprese e sindacati di accordarsi per organizzare i luoghi di lavoro e introdurre nuovi modelli. E’ chiaro che in questo quadro sono i contratti aziendali o territoriali ad interpretare al meglio sia le esigenze del lavoro che dei lavoratori. Per tornare alla questione cruciale, come sindacati ed imprese ci è data la reale opportunità di introdurre risorse nuove e necessarie al sistema produttivo, andando finalmente anche a detassare il lavoro, il cui costo oggi rappresenta uno dei principali freni della competitività ed attrattività italiana. Sorprende e risulta paradossale, dunque, che la Cgil di fronte alla possibilità di dare chance ai salari oggi super tassati, si defili da una partita che pure aveva iniziato a giocare qualche settimana fa. E non si capisce neppure il disfattismo del segretario Belci rispetto alla contrattazione di II livello, peraltro riconosciuta dalla sua organizzazione con la firma di uno dei pochi accori unitari, ovvero quello del 28 giugno 2011. Mi sorgono allora due domande. La prima: che ci stanno a fare le parti sociali se nel momento di prendere soldi da iniettare nel lavoro non si mettono d’accordo? E poi, non è abdicare al proprio ruolo arrendendosi di fronte agli impegni assunti? Mi riferisco proprio all’accordo di giugno incentrato sull’esigenza di sviluppare la contrattazione decentrata. E’ vero, come riferisce Belci, che oggi solo il 20% delle aziende la pratica, ma l’obiettivo condiviso era proprio quello di spingere con forza tutti assieme affinché tutte le imprese la riconoscessero. Come Cisl continuiamo a credere in questo obiettivo e a pensare che nella crisi perdurante, con la gente senza soldi e senza crescita, ci voglia senso di responsabilità, che gli accordi vadano fatti e firmati e che filosofeggiare come fa la Cgil, mettendo tutto nello stesso calderone, dalla produttività alla rappresentanza – non aiuti il Paese. Come nemmeno chiamare i lavoratori a scioperi discutibili, infruttuosi e politicizzati, svilendo lo strumento in questione.