LAVORO FEMMINILE, CRESCE IL PART TIME INVOLONTARIO
Lavoro femminile sempre più improntato al part time involontario: è il primo dato che emerge dalla ricerca sull’occupazione delle donne nella nostra regione, commissionata dalla Cisl Friuli Venezia Giulia ad Idea Tolomeo e presentata a Palmanova nel corso di un affollato consiglio generale.
A fronte di un tasso di occupazione pressoché stabile – attestato nel terzo trimestre 2015 al 54,7% (contro il 55,3% del 2014) – a crescere in maniera sensibile, così come in tutto il NordEst, è la quota di donne occupata a tempo parziale, con una percentuale che da noi raggiunge il 35%. Tuttavia, il dato più delicato riguarda la matrice del part time, che, sempre più, risulta di natura involontaria. In altri termini, si assiste ad un avvicinamento numerico tra tempi parziali involontari e volontari, con questi ultimi in calo, in particolare tra il 2008 e il 2011. Dati che aprono ad una riflessione, tanto più se si considera che – da una parte – l’Italia, nel quadro dell’Unione Europea, è il Paese con la più elevata incidenza di part time femminile involontario (il 19% contro una media Ue ferma all’8%) e – dall’altra – che Stati a noi vicini come l’Austria vantano, invece, anche in periodi di crisi, un forte aumento della scelta volontaria. Quanto al Friuli Venezia Giulia, la quota di part time involontario è al 15%, contro il 5% di Austria, il 2% di Croazia e l’1% di Slovenia.
“Sicuramente – commentano per la Cisl Fvg, il segretario generale Giovanni Fania e la segretaria Claudia Sacilotto – il dato è condizionato dall’andamento della crisi, che ha colpito anche l’occupazione femminile e le possibilità reali per una donna, magari con figli, di trovare il lavoro desiderato. Rispetto a questa situazione ci preoccupano molto anche le ricadute, a partire anche dalla capacità salariale”.
A prendere corpo dalla ricerca è anche il problema della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, con la regione in bilico tra due “modelli” contrapposti, e diversi fattori in gioco, a partire dai servizi, in particolare quelli dedicati all’infanzia e alla presa in carico dei bambini: 4mila 175 (al 31 dicembre 2012*) contro gli oltre 30mila dell’Emilia-Romagna. Un paragone, quello con l’Emilia-Romagna, non casuale: è, infatti, in questa regione – a fronte di una rilevante compartecipazione del sistema di welfare alla cura dei figli – a registrarsi la più bassa incidenza di part time femminile a vantaggio di un impegno lavorativo a tempo pieno delle donne. Nonostante il Friuli Venezia Giulia confermi l’importanza della spesa operata dai Comuni e la minore percentuale di spesa pagata dagli utenti (18% rispetto al 19% italiano), con un costo complessivo tra i più bassi, dopo il Veneto, resta prioritario e strategico ampliare la gamma dei servizi offerti (anche in relazione alla flessibilità oraria) e rendere ancora più accessibili le rette delle strutture, comunque alte.
“Il problema reale – spiegano Fania, Sacilotto e la coordinatrice delle donne Cisl,, Renata Della Ricca – è che sono ancora troppo pochi gli accordi aziendali, pubblici e privati – e qui va potenziata la contrattazione di secondo livello – che affrontano in modo originale il tema delle pari opportunità e che trovano soluzioni innovative al problema della conciliazione. E questo sia per la comprensibile resistenza delle parti datoriali, sia per la mancanza di una strategia trasversale tra aziende e parte sindacale”. E’ poi ancora evidente il tetto di cristallo che blocca la carriera delle donne”.
Dagli ultimi dati regionali emerge, infatti, che le donne sono sottorappresentate; sono solo il 12% a ricoprire ruoli dirigenziali mentre nei profili impiegatizi sono il 57,6%. Per quanto riguarda le retribuzioni, per le donne a livello dirigenziale sono inferiori addirittura di oltre il 20%, mentre il gap diminuisce leggermente nei profili delle operaie.
“Un fatto che, secondo le aziende, si spiega con la preminenza di donne nel lavoro a tempo parziale, ma noi sappiamo bene che questa differenza deriva soprattutto dal salario variabile. Gli ad personam, che venivano utilizzati al posto della promozione a favore dei lavoratori, oggi sono caduti in disuso, sostituiti dai premi di produttività, come elementi di possibile discriminazione. Questo perché la presenza è uno dei criteri di merito prioritari: cioè vale di più la quantità di ore lavorate (lo straordinario) che la qualità dei risultati conseguiti. Dobbiamo allora chiederci se esistono o potrebbero esistere anche dei “criteri di genere” per riconoscere la produttività. Inutile, poi, dire che, se ci fossero più servizi, maggiormente accessibili (economicamente) e flessibili (negli orari), a partire dagli asili nido, forse anche le donne non sarebbero costrette a “sacrificare” la propria vita lavorativa. Rimane, dunque, anche la curiosità di vedere che adesione avranno anche i congedi parentali (per i padri) introdotti dal Jobs Act”.
Quanto ai settori di occupazione, le donne del Friuli Venezia Giulia continuano ad essere orientate prevalentemente sui servizi, che rappresenta circa l’80% degli sbocchi. Un’inversione di tendenza, invece, si assiste sul fronte degli studi: rispetto al 2007, infatti, e discipline che hanno conosciuto la maggiore crescita di donne laureate sono state l’architettura (+95%) e le materie economico-statistiche (+19%), accanto al tradizionale insegnamento (+19%).