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LE RICETTE DELLA FEMCA CISL PER LA CHIMICA

Di fronte ai silenzi della Regione, il sindacato parte al contrattacco. E dopo la partecipata assemblea che si è svolta l’altra sera a Torviscosa i rappresentanti dei lavoratori della chimica rilanciano non solo per chiedere, «anzi pretendere, quel confronto che finora non c’è stato»: ma anche per mostrare che «dalla rinascita della ex Caffaro passa il futuro dell’intero comparto chimico e forse dell’intera industria nella nostra regione». Non sembrino esagerate le parole di Augusto Salvador, rappresentante della Femca Cisl: il fatto è che «non si è ancora capito – dice, con orgoglio rabbioso – che in un Friuli a vocazione industriale oggi la chimica può essere un settore trainante e decisivo per la crescita di cui tutti si riempiono la bocca». Per questo il lavoro dei sindacati «è sempre stato di leale collaborazione: perché siamo convinti che su Torviscosa una Regione che abbia una politica industriale lungimirante potrebbe investire in modo molto produttivo». Come? «In due modi. Innanzitutto trasformandola in un Parco Tecnologico delle innovazioni chimiche, e arruolando con bandi specifici i ricercatori dell’intera Alpe Adria con un progetto di sviluppo transfrontaliero che veda partnership non solo con le nostre università e i centri di ricerca come Area Science Park, ma pure con le analoghe realtà slovene, austriache e venete». Progetti difficilmente realizzabili? «Di fronte alla prospettiva di un accordo di programma con agevolazioni tangibili che coinvolga anche il Ministero dell’Ambiente per far transare il danno ambientale a chi eventualmente investisse sull’area, Torviscosa potrebbe divenire un ideale polo di ricerca sui nuovi materiali». Un settore in forte espansione, dove però il mercato si crea e non si rincorre: Salvador pensa a «nuovi tessuti per la moda e per l’arredo e al riutilizzo dei polimeri, che ora si disperdono anziché riciclarli»: e poi la nuova frontiera, i cosiddetti «Rae», «rare earth elements». Sostanze di rara reperibilità come neodimio e europio, che però sono essenziali per far funzionare i nostri smartphone e i touchscreen, i led e le lampade di ultima generazione. La Cina ne ha pressoché il monopolio: «Tutti i nostri rifiuti tecnologici sono vere miniere urbane dalle quali si potrebbero recuperare quantità enormi di queste sostanze» chiude Salvador. «Ma per farlo servono investimenti, e una strategia sull’industria che non si vede all’orizzonte. Del resto, un assessore all’industria tout court manca ormai da tempo».