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LOGISTICA, ASSET STRATEGICO PER LA RIPRESA

Intervento del Segretario generale, Giovanni Fania, pubblicato su Il Piccolo
Il sistema produttivo del Friuli Venezia Giulia si trova oggi più che mai a fare i conti con una serie di deficit strutturali importanti.
Uno di questi riguarda la portualità che malgrado gli enunciati sforzi, risulta ancora scarsamente sfruttata. Eppure le condizioni favorevoli per fare di Trieste, assieme agli altri scali regionali, un punto di riferimento di primo piano sulla rotta adriatica, ci sono e sono da tempo note. Almeno sulla carta; meno nelle intenzioni, poco nei fatti.
L’inerzia con cui la tematica portuale è stata fino ad ora discussa non può che lasciare perplessi, soprattutto quando le preoccupazioni di chi dovrebbe prendere delle decisioni sono rivolte più alla distribuzione delle cariche e delle relative poltrone, piuttosto che alle politiche di sviluppo. Meglio tacere poi sul naufragio del progetto Unicredit che avrebbe rilanciato uno scalo oggi inadeguato, valorizzando uno sbocco sul mare strategico. Da anni sentiamo parlare di fondali troppo bassi ed inospitali ad accogliere le navi di grossa stazza; di dragaggi – è anche il caso di San Giorgio di Nogaro – appena avviati, se non ancora fermi. Il quadro è sconcertante, non fosse altro che per il fatto che gli scali regionali in questione dovrebbero supportare aree industriali tra le più concentrate come, ad esempio, l’Aussa Corno, ed oggi in difficoltà. Il legame tra sistema produttivo e assetto portuale risulta, dunque, malamente interrotto. Siamo di fronte ad un gap strategico enorme: da una parte abbiamo le aziende (in crisi) che hanno bisogno di riposizionarsi sui mercati anche esteri, di approvvigionarsi e di guadagnare valore aggiunto (da almeno 15 anni in costante discesa a livello nazionale) e, dall’altra parte, c’è un sistema portuale sottosfruttato e poco "utile". Occorrerebbe iniziare a ragionare e a lavorare in termini di maggiore scambio e soprattutto in una logica di servizio oggi assente. In un quadro di pesantissima crisi del tessuto industriale non è più pensabile – e questo vale per tutta Italia – che una nostra impresa per importare beni debba mettere in conto 18 giorni, a fronte degli 8 dell’Austria e dei 7 della Germania. E’ paradossale che per un’azienda italiana, che ha bisogno di un container proveniente, ad esempio, dal Vietnam, sia più conveniente in termini di tempo farlo sdoganare in Austria e riacquistarlo lì anzichè importarlo direttamente in Italia. Senza contare anche i risparmi economici: importare un container in Italia costa mediamente 1.145 dollari; in Slovenia ne chiedono 830. E’ chiaro che così non può esserci competitività. Credo che di fronte a questo scenario vadano messe in moto politiche vere a livello nazionale, ma anche locale. Urge un ripensamento delle strategie sui porti: come è possibile che l’Italia con il suo sviluppo costiero movimenti a stento 9 milioni di teu, quando la sola Rotterdam ne fa 11,8? Iniziamo a mettere mano ai colli di bottiglia esistenti e parlo anche ella nostra regione. Dalle eccessive autorità portuali (24 in Italia) che di fatto paralizzano, sovrapponendosi, decisioni e politiche, alimentando sterile burocrazia. Stabiliamo come punto fermo e senza ulteriori indecisioni che la logistica deve essere un asset portante per il rilancio della nostra economia. Per quanto ci riguarda possiamo iniziare a sviluppare, ad esempio, una piattaforma sovraregionale tra Friuli Venezia Giulia e Veneto tale da permettere agli operatori, anche privati terminalisti, di servirsi di più nodi (possibilmemente intermodali) della stessa macroarea e gestiti in modo univoco. Come Sindacato ci stiamo pensando, ma occorre che anche la politica sposi quella che è una scelta strategica obbligata, altrimenti ognuno continuerà a preservare il proprio piccolo spazio, o lembo di mare, condannandolo alla marginalità rispetto alle grandi rotte che si stanno consolidando. Sono da scelte da fare oggi, soprattutto in vista della realizzazione di qui Corridoi che giocoforza ridisegneranno le geometrie dei trasporti, spostando anche gli storici baricentri. Non essere pronti significherà perdere una partita importante e condannare ancora di più all’isolamento il nostro sistema produttivo. Serve una visione chiara sul futuro e ci auguriamo che la presidente della regione, Serracchiani, forte anche del suo nuovo ruolo nazionale, possa costruirla al più presto.