ORA DELOCALIZZIAMO DIETRO CASA
Intervista del Segretario generale, Giovanni Fania, pubblicata su Conquiste del Lavoro
Una manciata di chilometri. Facili da superare per le sirene di Klagenfurt e di Lubiana che invitano le imprese del Friuli Venezia Giulia ad allungare il passo oltre confine.
Tasse e burocrazia. Sono i pilastri delle campagne attuate da apposite agenzie per attrarre capitali d’investimento in Carinzia, land austriaco contiguo alla regione nordestina, e nella Repubblica Slovena, adiacente a Trieste e Gorizia. Capitali e aziende tentati dalla fuga, complice una crisi che ha reso più amaro il peso della pressione fiscale e del malfunzionamento del Belpaese.
Aba Invest, controllata dal ministero austriaco dell’Economia, ed Eak, agenzia regionale, promettono 7 giorni per fondare una società o per una concessione edilizia, 80 per l’avvio di una produzione industriale, imposta secca del 25% sugli utili delle società (non esiste l’Irap), finanziamenti per investimenti produttivi e R&S, costi deducibili e detrazioni, rimborso automatico dell’Iva, approvvigionamenti energetici immediati e sicuri a costi minori, flessibilità del lavoro. Tutto questo in parchi industriali dotati di moderne infrastrutture e con assistenza gratuita per tutto l’iter dell’insediamento. Certo, l’Austria non è la Romania: la manodopera costa quanto o più che da noi; ma a fare la differenza è un intero sistema che funziona. Fisco leggero al 20%, detrazioni e incentivi offre anche la Slovenia, tramite l’ente di promozione Japti, arricchendo il piatto con manodopera qualificata a costi inferiori del 15% e una bolletta energetica che pesa 40 punti meno della nostra.
Da “Made in Italy” a “Made in Kartnen”, prodotto in Carinzia, o in Slovenia? “Le vere delocalizzazioni si sono avute in fasi espansive, soprattutto verso est, comprese Slovenia e Croazia, negli anni ’90, sui costi, e dal 2003 al 2008, legate all’internazionalizzazione. Con la crisi il fenomeno è diventato residuale – dice Giovanni Fania, segretario generale Cisl del Friuli Venezia Giulia – anche se, di fronte alla perdita di competitività, molte aziende spostano pezzi di filiera. Le tentazioni ci sono, soprattutto in settori energivori come metallurgia e siderurgia”.
I numeri divergono. Le agenzie, che computano anche compartecipazioni societarie, filiali commerciali, turismo, esercizi al dettaglio, riferiscono di 80 aziende italiane in Carinzia (Eak); 1.000 in Austria con richieste d’informazioni raddoppiate nel 2012 (Aba); 600 in Slovenia, soprattutto dal Nord Est. Dagli elenchi dell’Ice, istituto per il commercio estero, che comprendono manifattura, commercio all’ingrosso e servizi escluso finanziari, in Austria risultano presenti con investimenti diretti 406 imprese italiane, per un totale di 8.898 addetti, di cui 234 con casa madre nel Nord Est e 218 in Slovenia (147 nordestine) con 4.681 addetti.
Nel complesso, i grandi nomi si contano sulle dita. C’è la friulana Fantoni (mobili per ufficio e pannelli di fibra), che si è estesa in Slovenia acquisendo la Lesonit, portata tecnologicamente all’avanguardia con un investimento di 65 milioni di euro. In Carinzia spiccano la Danieli di Buttrio (Udine), tra i maggiori fornitori al mondo di impianti e attrezzature per l’industria siderurgica, che ha insediato un grande centro a Völkermarkt (vendita, progettazione, servizio e ricambi) e l’udinese Refrion (scambiatori di calore e altri componenti per la tecnologia del freddo) che, mantenendo la sede principale a Talmassons, ha aperto uno stabilimento a Hermagor.
Ma “le preoccupazioni ci sono – afferma Fania – soprattutto per le piccole aziende contoterziste a rischio di sopravvivenza, per quanto un pò ci rassicuri avere un buon sistema impresa a sostegno dei distretti e un indotto improntato alla cultura della qualità. Ci vuole più attenzione da parte della Regione. Dal canto nostro, attraverso la Conferenza sindacale transfrontaliera lavoriamo con i sindacati di Austria, Slovenia e Croazia per contrastare fenomeni di dumping che nuocerebbero a tutti.
Non è facile, quando in mezz’ora si è in un altro paese. In realtà è una grande area transfrontaliera integrata e dunque il problema è anche di politiche e regole europee”.
RossellaRossini