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PATTO DI RIPRESA, LA SFIDA DELLA CISL

Amarezza per un'unità sindacale che anche in Friuli vacilla, ma anche determinazione a proporre idee e strumenti nuovi per rilanciare il dialogo fra le parti sociali e la collaborazione con le istituzioni: Giovanni Fania, segretario regionale della Cisl, lancia un appello a tutte le componenti della società regionale per rinunciare ai particolarismi e partire per una nuova fase di rilancio dell'economia del Friuli Venezia Giulia.
      Segretario, è della scorsa settimana l'appello a livello nazionale di Confindustria, sindacati, banche e cooperative per una «forte discontinuità» nell'azione di governo a fronte dei rischi indotti dalla speculazione finanziaria. Sono maturi i tempi per un forte sforzo comune?
     
«Non credo ci siano alternative. In questi giorni in Friuli Venezia Giulia siamo stati occupati dall'affannosa trattativa sul Comparto unico e tale appello è passato quasi sotto silenzio. Invece io credo nell'assoluta necessità di proporre un "patto per la crescita" anche per la nostra regione. È il momento di unire le forze. Diversamente la crisi per il Fvg da congiunturale diverrà strutturale».
      Eppure nel presentare i risultati del trimestre il presidente di Confindustria Calligaris ha lanciato segnali ottimistici.
     
«Segnali confortanti per la produzione, meno per il lavoro. Siamo a indici negativi e nell'analisi questo non può sfuggire».
      Crede che a settembre potremmo trovarci di fronte ad altre crisi aziendali?
     
«Ci vorrebbe la sfera di cristallo. Anche le nostre aziende operano con la spada di Damocle della speculazione finanziaria che condiziona in negativo gli scenari di prospettiva, ma può anche darsi che nuove crisi ci vengano risparmiate. Il punto non è questo: il punto è interrogarsi sul perché le aziende che sono in ripresa non riassumono».
      Glielo chiedo io. Perché?
     
«Perché scommettere di fronte all'incertezza è difficile. Senza una strategia globale che mostri come questo territorio sia pronto a fare fronte comune per ricostruire le condizioni materiali che ne hanno guidato la crescita, è difficile che la ripresa si consolidi. La crisi è stata un terremoto e non ci sarà ricostruzione senza lo sforzo di tutti: imprese, lavoratori, credito e politica»
      Pensa a nuovi tavoli di concertazione?
     
«Serve scrivere un capitolo nuovo che affronti le emergenze dell'oggi ma ancor più le strategie per il domani. Bisogna partire dall'occupazione, dal destino dei 60mila occupati espulsi dal mercato del lavoro, specie per quanto riguarda gli over 45: ma il metodo di confronto va esteso alla definizione degli scenari che immaginiamo per il Friuli Venezia Giulia di domani. Una cabina di regia per stabilire comportamenti virtuosi, obiettivi concreti, impegni precisi e scadenze rigorose. Serve che le imprese reinvestano e riassumano, le banche concedano garanzie e prestiti, la politica intervenga con leggi, finanziamenti e con il necessario dimagrimento della burocrazia e delle strutture decisionali, che in questa Regione sono proliferate troppo».
      E il sindacato, cosa si impegnerà a fare?
     
«Se il presupposto è sedersi al tavolo, tutti con l'umiltà necessaria a sacrificare parte delle proprie ragioni, credo che la nostra parte di responsabilità possa essere quella di concorrere in questa fase a gestire il mercato del lavoro in termini di flessibilità positiva».
      Ovvero precarizzazione?
     
«No, la precarietà è uno dei problemi che dovremo affrontare, non una delle soluzioni da mettere in campo. Senza dare stabilità e certezza al lavoro dei nostri giovani, l'emigrazione riprenderà».
      Fra le priorità dello sviluppo mette anche i tagli ai costi della politica?
     
«Senza risorse, nessuna politica industriale è possibile. Ma se la Regione non recupera risorse, non è possibile nemmeno mantenere in piedi 239 Comuni la cui maggioranza ha meno di 5mila abitanti, con tutte le giunte e i consigli, e una pletora di consigli di amministrazione di enti e consorzi spesso nati per collocare trombati alle elezioni e controllare bacini elettorali. Queste strutture sono un peso non solo economico perché moltiplicano i livelli decisionali, mentre invece sarebbe necessario semplificarli».
      Non teme rivolte dei vostri iscritti del pubblico impiego?
     
«I dipendenti pubblici sono una ricchezza della Regione e dei Comuni: noi vogliamo ridurre gli eletti e semmai gli apicali, concentrando le funzioni di area vasta nei centri più grossi come accade già negli ambiti socio assistenziali, ad esempio. Anche perché in questa situazione la spesa pubblica non sarà più sostenibile in futuro».
      Cosa ha portato la situazione a precipitare?
     
«La specialità funziona in presenza di risorse: e fino a tre anni fa l'economia tirava e la disoccupazione era a livelli fisiologici. Negli anni si è costruito un modello sociale invidiato: si pensi alla sanità. Ma nel farlo, forse, ci si è lasciati prendere la mano e nell'illusione di migliorare il governo sono stati creati troppi enti e consorzi che ora non ci possiamo più permettere. La crisi ha portato via il 28 per cento della ricchezza in tre anni e prima di tornare ai livelli del 2007 di tempo ce ne vorrà. Si aggiunga che intanto il bilancio della Regione ha perso entrate per circa un miliardo. Per questo è urgente ridisegnare il nostro modello».
      La Giunta Tondo è un interlocutore affidabile in tal senso?
     
«Ha tamponato bene l'emergenza. Gli ammortizzatori servivano e sono stati messi in campo in sinergia con le organizzazioni sindacali. Ora bisogna passare ad azioni di prospettiva. La terza corsia è d'obbligo e le infrastrutture portuali servono a far diventare la regione una piattaforma logistica d'importanza europea. E bisogna ricominciare a scommettere su innovazione, ricerca e sviluppo. Abbiamo università di primo livello: serve creare delle aziende dell'intelligenza che mettano in circuito i risultati della ricerca stimolando l'ammodernamento dei processi produttivi. Altrimenti andremo incontro a un lento, inesorabile declino».

Intervista rilasciata a Il Gazzettino dal Segretario Generale Giovanni Fania