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PER UNA BUONA SCUOLA CI VUOLE COOPERAZIONE

Intervento del Segretario regionale Cisl Scuola, Donato Lamorte, pubblicato su Il Piccolo
Il disegno di legge sulla “Buona Scuola” è distante sotto diversi aspetti dalle ambizioni iniziali. Non solo per quanto riguarda i tempi – slittati di ben 4 mesi rispetto alle promesse – ma anche per gli strumenti ed i contenuti. Se sotto il primo profilo ha stupito il blitz di Renzi, inaspettato pure per il ministro Giannini, di ricorrere al disegno di legge anziché ai decreti annunciati, non meno imbarazzo suscitano i “nuovi” contenuti.
L'ambizioso piano di assunzioni e la radicale manomissione dei percorsi di carriera del personale docente hanno infatti lasciato il posto ad un impianto nel quale l’enfasi è posta sull’autonomia delle scuole il cui rafforzamento procederebbe di pari passo con quello dei poteri affidati al dirigente scolastico (il preside sindaco, per citare la metafora utilizzata dal governo).
La nuova scelta degli strumenti vorremmo poterla considerare un positivo recupero di saggezza, augurandoci di non essere smentiti dalle modalità con cui potrebbe essere gestito il percorso parlamentare.
Autentica saggezza sarebbe, poi, ricondurre a decreto legge la partita delle assunzioni – quella sì pressata dall’urgenza dei tempi per un regolare avvio del prossimo anno scolastico – evitando invece di stressare il dibattito delle Camere su questioni per le quali un supplemento di riflessione e di approfondimento è più che necessario.
Nei grandi processi di riforma il metodo è sostanza. Non siamo stati i soli a sostenerlo, nelle occasioni di confronto con il governo, (per altro scarse viste le iniziali rassicurazioni sul pieno coinvolgimento del Paese alla riforma).
Le questioni di metodo non sono certo in secondo piano nelle motivazioni che ci hanno indotto a mobilitarci, insieme a tutte le altre sigle rappresentative, per chiedere sostanziali modifiche al provvedimento che al momento in cui scriviamo passa all’esame delle Camere. Chiedere per esempio che tutto quanto investe il rapporto di lavoro – dalle retribuzioni, alla formazione in servizio, alla mobilità – sia ricondotto alla sede naturale e legittima di discussione e decisione, che è quella contrattuale, significa chiedere il rispetto di quanto prevedono le norme sul lavoro pubblico, anche dopo la pesante rivisitazione della stagione Brunetta.
E’ scomparsa dal testo del disegno di legge l’ipotesi di rivoluzionare la struttura delle retribuzioni dei docenti, segno che la forte pressione messa in campo in questi mesi dal sindacato ha sortito i suoi effetti. Restano dunque gli scatti di anzianità, mentre una quota di risorse aggiuntive sarà resa disponibile a partire dal 2016 per retribuire, sotto forma di bonus di natura accessoria, i buoni risultati ottenuti dai docenti nella loro azione didattica. Destinare al “merito” risorse aggiuntive (e non quelle ottenute decurtando le retribuzioni ordinarie, come prevedeva l’ipotesi originaria delle linee guida governative) è una soluzione che va nella direzione giusta, già indicata dallo stesso Contratto collettivo nazionale oggi in vigore. Ciò che non va assolutamente bene è l’assenza di ogni riferimento a procedure di contrattazione che sono d’obbligo quando si tratta di gestire l’attribuzione di salario accessorio: non è infatti pensabile e tanto meno accettabile l’affidamento alla mera discrezionalità del dirigente di procedure premiali.
Altrettanto inaccettabile è il modo in cui vengono a configurarsi, nel disegno di legge, procedure delicate e complesse come il reclutamento, l’attribuzione e il mutamento della sede di servizio e, più in generale, la progettazione dell’attività della scuola. Anche qui, con un’esaltazione delle attribuzioni del dirigente che appare fuori misura. C'é un che di improvvisato.
La nostra idea di dirigenza si orienta verso una leadership che non si afferma nel “comandare”, ma nell’essere “guida”, convinti che il tema della collaborazione, del coordinamento, della condivisione stia al centro di una scuola che si voglia autenticamente “buona”. Uomini soli al comando non sono ciò che serve alla scuola italiana per crescere e migliorarsi.
Nel frattempo si è già iniziato a discutere nelle sedi deputate di organico del personale docente per l’avvio del prossimo anno scolastico. L’impostazione degli organici del personale docente va all’incontrario di quanto il Governo ha promesso e non rispetta il dettato della sentenza della Corte di giustizia europea, cioè stabilizzare tutti quei lavoratori che anno almeno 36 mesi di lavoro. Va da se che per fare questo occorreva mantenere l’organico di diritto, nei numeri, identico a quello concesso per l’anno scolastico in corso. Invece assistiamo ad una forte decurtazione, in Friuli Venezia Giulia, pur in un contesto generale di numero di alunni stabile, nella scuola primaria sono stati eliminati 21 posti e nella scuola secondaria di primo grado si predispone un taglio di 51 posti e sicuramente si prospetterà tale operazione anche per la scuola secondaria di secondo grado. Se questa è la “buona scuola” di Renzi la conclusione è che stiamo passando da una Buona Scuola che c’è già e che funziona grazie all’impegno di chi vi opera compreso i lavoratori precari, mal pagati e maltrattati da un datore di lavoro poco sensibile, ad una scuola alla buona che è altra cosa.