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Primo maggio, monito dal palco: «Basta dirci che la crisi è finita»

Applauditi interventi di Gregoris e Pellizzon (Cisl). Duro monito anche contro lo shopping nei festivi

La «migliore gioventù della riva destra» di questi giorni chiede, come quella di pasoliniana memoria, «lavoro per questa terra». È il messaggio lanciato in maniera unitaria dai sindacati, attraverso l’intervento del segretario provinciale della Cisl, Arturo Pellizzon, da piazza del Popolo, a San Vito al Tagliamento, dove si è svolta la festa provinciale del Primo maggio, per la prima volta (a eccezione del 2004) fuori da Pordenone. Ed è appunto dalla storia che è partito l’intervento di Pellizzon.
La piazza è la stessa descritta da Pier Paolo Pasolini nel romanzo d’esordio “Il sogno di una cosa”: non c’è l’estrema povertà di quel tempo, ma le incognite di questo periodo sono parecchie. Circa 400 le persone che in più momenti hanno applaudito anche il primo intervento della mattinata, quello del sindaco di San Vito, Gino Gregoris, che ha considerato «un segnale di grande rispetto e solidarietà alle centinaia di persone che nel Sanvitese hanno perso il lavoro» l’organizzazione della festa in quel luogo. Per Gregoris «una delle condizioni per uscire dalla crisi è smettere di dire che tutto va bene e i guai sono passati, non è onesto».
Dopo gli interventi del vicepresidente della Provincia, Eligio Grizzo e del presidente dell’Anmil, Amedeo Bozzer, ha parlato Pellizzon, anche a nome di Cigl, Cisl e Uil, che hanno organizzato la cerimonia assieme ad Anmil e Comune di San Vito. Tanti i temi toccati: dalla delocalizzazione a est alla «necessità di giugere a un sistema produttivo che sappia coniugare domanda di lavoro e occupazione con il rispetto dell’ambiente, la dignità, la sicurezza»; dall’esigenza di proporre un modello di organizzazione del lavoro (dove oltre alla flessibilità l’azienda diventi “casa comune”), al punto dolente della precarietà per i giovani e non solo; dalla richiesta di formazione utile a qualificare i lavoratori a quella per “nuovi ammortizzatori sociali”.
Applausi per l’appello a garantire agli immigrati «giustizia e pari diritti e doveri». Pellizzon ha ricordato alcune storie di crisi: quella della Luvata (chiusa ignorando l’efficienza dell’impianto sanvitese: 8 mesi dopo, 120 lavoratori sono ancora senza lavoro); quella della Atex (nel luglio 2010 scade la Cgis e 35 lavoratori sono ancora alla ricerca di una soluzione); quella della Planex (i lavoratori attendono ancora, dopo la chiusura, 3 stipendi e il Tfr). Ma ci sono, ha evidenziato il sindacalista, anche «pezzi di speranza»: un esempio è la vicenda dell’Ideal Standard, conclusasi con un contratto di solidarietà e nessuno a casa. Ancora, si è parlato di illegalità e nepotismo in Italia, di sicurezza sul posto di lavoro, della necessità di un nuovo patto fiscale, di nuovi progetti industriali e di rilanciare l’occupazione.
Infine, una dura presa di posizione: «La condizione di tanti lavoratori che devono rinunciare ogni giorno a qualcosa – ha detto Pellizzon – è offesa dalla scelta incredibile di aprire i negozi anche oggi. Lo squallore etico di chi pianifica un sistema che tenta di riconoscere dignità solo se consumiamo e non in quanto donne e uomini».

Andrea Sartori