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PRIMO MAGGIO, PERCHE’ ESSERCI

Gli effetti della difficile situazione economica, che ormai da anni affligge il nostro Paese, sono sempre più evidenti nel comparto industriale e in quello commerciale della nostra regione.
Peraltro, sarebbe quasi impossibile, nel mercato globale attuale, non vedere anche da noi i riflessi negativi della crisi in atto.
L’esempio più evidente è rappresentato dal comparto manifatturiero del pordenonese, territorio facente parte di quello definito fino a ieri del “miracolo economico” cioè del “nordest”.
Parliamo delle drammatiche difficoltà che interessano l’Electrolux e l’Ideal Standard, industrie primarie di tale area.
La crisi dell’edilizia ha coinvolto negativamente gran parte delle imprese ad essa collegate.
E’ in questo contesto che l’intero distretto industriale, che partiva da queste due imprese simbolo e si snodava attraverso numerose attività connesse al comparto immobiliare, quali mobili, componenti elettriche, ecc., ha visto crescere giorno dopo giorno le proprie difficoltà di mercato e occupazionali.
L’area in esame non solo sosteneva, con la sua produzione, l’economia della zona ma rappresentava anche una risorsa per l’intera regione consentendo positive ricadute sul sistema socio-sanitario nonché la sostenibilità dei settori maggiormente in difficoltà.
Senza sostenibilità economica non ci possono essere, infatti, le tutele dei più deboli e diventa sempre più faticoso garantirle.
E se non si porranno dei rimedi, la situazione diventerà sempre più difficile e complicata per tutti.
Sono queste, in primis, le ragioni per cui le organizzazioni sindacali CGIL-CISL-UIL hanno scelto di celebrare la festa del 1° maggio proprio nella nostra regione e, nello specifico, a Pordenone.
E’ una consuetudine che dura ormai da anni, quella di scegliere quale luogo di celebrazione della festa del lavoro le zone del Paese che presentano maggiori criticità in modo da sottolineare maggiormente la necessità di un intervento governativo che da lì inizi e riguardi tutti i settori distribuiti sul territorio nazionale che, trovandosi in situazioni simili, hanno bisogno di risposte pronte, concrete ed efficaci.
Un intervento simbolo che rappresenti l’inizio di una svolta della politica economica.
E’ la seconda volta, in dieci anni, che il primo maggio si festeggia nella nostra regione.
La prima, nel 2004, in occasione dell’ingresso di nuovi Stati nella Comunità Europea fra cui la Slovenia, nazione a noi confinante .
L’ eliminazione dei confini all’interno dell’Europa rappresentava la speranza di un mondo migliore chiudendo definitivamente un periodo storico dei più bui che tante sofferenze avevano creato per le genti di queste terre.
Il contesto attuale è meno roseo di allora, non solo sotto l’aspetto economico ma anche, e soprattutto, dal punto di vista politico.
Coincidenza vuole che in maggio si terranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo in un’Europa la cui unità è sempre più messa in discussione.
I dubbi e le incertezze inerenti la sua unità, nel periodo in cui ricorre anche il centenario della prima guerra mondiale e dopo settant’anni dalla fine della seconda grande guerra, anni caratterizzati da pace e da benessere, meritano una riflessione che vada ben al di là della messa in discussione di quanto fatto fino ad oggi ad iniziare dalla moneta unica.
E’ solo la pace e, con essa, l’unione degli Stati nel rispetto delle singole sovranità che potranno dare risposte di macro politica ai problemi attuali.
Problemi che sono innumerevoli e di cui quello economico- occupazionale è di più immediato riscontro.
Friuli Venezia Giulia, simbolo di unità europea e di crisi industriale.
La scelta effettuata di celebrare la festa del lavoro a Pordenone racchiude, quindi, più significati che il sindacato vuole sottolineare per rivendicarne le soluzioni.
Si auspica che alla manifestazione simbolo aderiscano i lavoratori di tutta la nostra regione perché soltanto la mobilitazione e la rivendicazioni di politiche industriali di sostegno al lavoro possono far uscire dalla crisi tutto il nostro Paese.
Crisi che si fa sempre più pesante anche nell ’Isontino .
Dobbiamo, purtroppo, registrare la non positiva soluzione della crisi della Detroit, a Ronchi de Legionari.
La rivendicata non chiusura dello stabilimento, che avrebbe comportato la salvaguardia di 140 posti di lavoro in loco, non ha avuto, fino ad adesso, esito positivo.
La produzione sarà trasferita a Belluno, nel vicino Veneto, dove ha sede l’azienda madre della proprietà.
Questa volta non è uno Stato estero, sia esso facente parte della Comunità Europea o meno, che minaccia la chiusura dello stabilimento, come avviene per l’Elettrolux, ma una regione italiana attigua alla nostra.
Un colpo mortale, la chiusura della Detroit, che comporta la perdita, di fatto, di una produzione, quella dei frigoriferi industriali, che ha svolto un ruolo di primo piano nella storia del nostro territorio, e non solo di questo, fin dagli anni ’50.
Lo spostamento della produzione, del marchio, del mercato, non potrà consentire che nell’Isontino ci sia l’avvio di una produzione analoga in tempi brevi.
Anche sull’Ansaldo di Monfalcone, attualmente di capitale nipponico, si stanno addensando delle nubi.
La multinazionale che oggi detiene il pacchetto azionario, ha illustrato il piano industriale che, a breve termine, prevede 130 esuberi negli stabilimenti operanti in Italia, 35 a Monfalcone.
Si prevedono, per l’uscita, incentivi, C.I.G. e mobilità ma bisogna tener conto che l’età media dei lavoratori è, oggi, molto bassa in quanto da quasi vent’anni si assiste ad una continua riduzione di organico.
Gli esuberi debbono essere individuati, a detta del management aziendale, nelle maestranze non direttamente collegate alla “mission” dell’impresa che è la costruzione di motori elettrici.
Riflettendo, non ci sono differenze nel trovare le soluzioni alle crisi: esuberi oggi che la proprietà è giapponese, esuberi ieri che la proprietà era americana, esuberi negli anni ’80 quando la proprietà era italiana.
Continuano a sussistere problemi per la Fincantieri, colosso navale italiano.
La prevista chiusura della C.I.G.che era stata fissata per agosto, quasi certamente non ci sarà.
Se ne prevede il prosieguo per tutto il 2014, vuoi per lo scarico produttivo di alcuni cantieri del Gruppo, vuoi perché per l’azienda è sempre utile mantenere aperta la procedura.
Da un lato la C.I.G., dall’altro la positiva chiusura dei bilanci aziendali e l’annunciata quotazione, a breve, dell’impresa a, in borsa.
Tale decisione crea non poche preoccupazioni tra i lavoratori dal punto di vista delle garanzie occupazionali (già oggi a Monfalcone il numero dei dipendenti diretti è sceso a meno di mille), considerato anche l’uso disinvolto che l’azienda da anni fa delle ditte appaltatrici.
Le recenti vicende testimoniano come i lavoratori di tali ditte (oggi più di duemila), perlopiù extracomunitari-bengalesi e non solo- sono trattati come merce di scambio e oggetto di sfruttamento senza che vi sia il ben che minimo controllo nonostante i ripetuti appelli alla trasparenza che il sindacato continua a fare.
L’ultima azione anticapolarato svolta dalle forze dell’ordine ha avuto come immediata conseguenza che più di cento dipendenti si siano trovati senza occupazione, senza reddito e senza una speranza di un nuovo lavoro.
Chiedere conto a Fincantieri delle conseguenze del loro modo di agire è il minimo che si possa rivendicare.
Sono sempre i lavoratori, ultimi del ciclo produttivo e privi di responsabilità, che sono chiamati a rispondere delle azioni poste in essere da altri.
Chiediamo alla politica, che continua anche dal canto suo a chiedere sempre maggiore flessibilità barattandola con maggior occupazione, che vi sia un’effettiva difesa del lavoro con creazione di nuovi posti ma anche, e soprattutto, con la salvaguardia della dignità dei lavoratori.
Solo così, in questo periodo buio e incerto, nella politica potremo trovare quella speranza che deve sorreggerci per affrontare il futuro nel migliore dei modi.

Gianfranco Valenta