QUELL’IDEA SUPERATA DI SPECIALITA’
Intervento del Segretario Generale, Giovanni Fania, pubblicato su Il Piccolo Nonostante la campagna elettorale sia oramai entrata nel vivo e, per quanto riguarda il livello nazionale già prossima agli ultimi fuochi pirotecnici, l’impressione è che i grandi temi, quelli importanti legati al rilancio del Paese e della regione, siano volutamente lasciati fuori dal confronto politico, quasi nulla c’entrassero. Risulta cioè diffusa la sensazione, se non la convinzione, che anche in Friuli Venezia Giulia si sia ancora più concentrati sui contenitori che sui contenuti, sulle definizioni e purtroppo pure sulla arroccata difesa di condizioni irripetibili e giocoforza mutate, vuoi per la crisi in atto, vuoi per l’incedere della storia. Se è vero che la politica dovrebbe riuscire a fare sintesi per obiettivi e non per appartenenza, forse vale la pena, per quanto riguarda il Friuli Venezia Giulia, domandarsi anche – a cinquant’anni dallo Statuto regionale – anche se la specialità, così come concepita ora, abbia ancora senso e, se sì, come debba essere ripensata. Si tratta di una questione cruciale: la risposta al quesito, infatti, non può non determinare necessariamente le scelte da qui ai prossimi anni. Io penso che la nostra regione non possa più considerarsi, o auspicare di essere, un corpo estraneo da Roma. Credo, infatti, che dovremmo tutti essere più consapevoli non solo delle nostre dimensioni, ma soprattutto della gravosità dei problemi che ci aspettano, così come delle sfide – lavoro, sanità, infrastrutture – che certo non potranno essere gestite con la sola autonomia, dati gli investimenti necessari. Siamo davvero sicuri di potercela fare davvero soltanto con le nostre gambe? Non voglio dire che la specialità debba essere abolita o che non serva, ma certo non può diventare lo scudo di un autonomismo fine a se stesso, incapace di guardare in prosettiva e con realismo. Penso piutttosto che la specialità debba e possa essere ripensata non come qualcosa che toglie, ma, invece, che aggiunge. L’elezione che ci attende non sarà come le altre. L’attuale situazione del Friuli Venezia Giulia non ha nulla a che vedere con quella di cinque o dieci anni fa. Continuiamo a soccombere alla crisi e, vista anche la perdita del 7% di Pil, gli scenari che abbiano di fronte sono quelli di una struttura economico-finanziaria con scarsissime possilità di crescita, laddove anche crescita ci fosse servirebbe esclusivamente a recuperare il deficit accomulato. Urge una strategia condivisa, lasciando da parte i tardivi mea culpa sulla concertazione, ma iniziando davvero a praticare il confronto, la concertazione, appunto, come sinonimo di responsabilità condivisa e voluta. Il discorso, o l’appello, vale per tutti: per la politica, ma anche per la classe imprenditoriale che non sempre nel passato, anche recente, ha saputo andare in pressing su questo tema. Ristabilito il clima di necessaria responsabilità, cui tutti siamo chiamati, mi domando quale futuro ci attende. Di sicuro è poca cosa pensare, di fronte ai problemi di questa regione, ad una nuova costituente e a una ridistribuzione di ruoli; più utile sarebbe ragionare di nuovi modelli. E allora, cominciamo a chiederci, ad esempio, cosa debba essere riportato, dal punto di vista amministrativo, al livello regionale oppure quali siano davvero gli sprechi cui non si è messa mano. Basta rincorrere vecchi schemi, dalla specialità tout court ai modelli anacronistici che non fanno il paio con la storia e le condizioni attuali. Parafrasando la celebre frase del presidente americano Kennedy, forse davvero dovremmo smettere di chiederci cosa la nostra regione può fare per noi, ed iniziare a domandarci cosa noi possiamo fare per il Friuli Venezia Giulia. Tutti possiamo metterci in fila e protestare o pretendere, anche aderire ai movimenti forcaioli, ma così facendo tutte le domande rimarranno senza risposta.