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TRIESTE GORIZIA, L’EPOCA DEL “NON SI PUO’” DEVE FINIRE

Poco consola la timida flessione del ricorso alla cassa integrazione in provincia di Gorizia, registrato nell’ultimo trimestre e in controtendenza rispetto al quadro regionale. La crisi, infatti, è tutt’altro che superata ed il dato positivo corrisponde semplicemente all’esaurimento del monte ore disponibile, con il conseguente avvio dei lavoratori alla mobilità e quindi alla perdita definitiva del posto di lavoro. La fotografia del territorio è sconfortante, basti pensare che dal 2009 il tessuto produttivo ha detto addio ad oltre 500 imprese e che, ad oggi, si stimano circa 7mila persone, prevalentemente donne, senza occupazione. Un contesto di difficoltà che si ritrova anche a Trieste, con 8mila posti di lavoro persi dall’inizio della crisi e che si contano soprattutto nei settori delle costruzioni e del manifatturiero, mentre tiene il comparto dei servizi (in città, le assicurazioni Generali ed il Lloyd).
“Siamo di fronte – commenta il segretario generale della Cisl Trieste Gorizia, Umberto Brusciano – allo scardinamento del nostro tessuto industriale, causato dalla chiusura sistematica di imprese”, ultima in ordine di tempo, per quanto riguarda Gorizia, quella della Siap (gruppo Carraro) che ha lasciato a casa una settantina di lavoratori, oltre l’indotto. “Un impoverimento del tessuto produttivo e, conseguentemente, dell’occupazione, che nessuna ripresa futura purtroppo ripristinerà appieno”.
Occorre, dunque, per la Cisl territoriale, che tutti si rimbocchino le maniche, dando vita a quegli “interventi corali” finora mancati o paralizzati da troppi “non si può fare” che hanno condizionato in negativo lo sviluppo di un’area dalle fortissime potenzialità, a partire dalla posizione geografica assolutamente strategica, piattaforma logistica eccellente per i collegamenti con il Centro e l’Est Europa. “Dobbiamo imparare a fare sistema – è l’appello di Brusciano – sulla base di pochi obiettivi, ma chiari, ed un’idea di sviluppo certa, senza lasciarci sfuggire preziose occasioni, come accaduto, per esempio al capoluogo isontino, con il Fondo Gorizia ed i vantaggi della zona franca ”. Occasioni create anche dall’esistenza di realtà concrete: quelle della ricerca, basti pensare che Trieste vanta il rapporto più alto in Italia tra ricercatori e popolazione e centri di ricerca di assoluta eccellenza (il sincrotrone, per citarne uno su tutti, o la filiera del biomedicale); o ancora il sistema portuale con lo scalo giuliano che, dopo il bilancio più che positivo – addirittura da record per il traffico di containers – registrato nel 2014, con oltre 506mila teu, ha aperto all’insegna di una contrazione stimata attorno al 18-20%. Un porto che, pur scontando la concorrenza d’oltre confine con Fiume e soprattutto Capodistria, avvantaggiate dalle corpose sovvenzioni statali d’oltre confine (approdare a Capodistria piuttosto che a Trieste, significa, per le compagnie marittime risparmiare circa il 40% dei costi), può giocare delle carte importanti per l’economia regionale: dall’esistenza di una zona di porto franco alla posizione baricentrica, la più alta dell’Adriatico, all’incrocio dei grandi corridoi Baltico e Mediterraneo ed i fondali che con i loro 18 metri naturali sono i più alti d’Europa, consentendo un accesso facilitato alle navi di grande stazza ed a quelle da crociera.
“Il recente passaggio dell’Autorità portuale sotto la direzione del commissario straordinario D’Agostino stia già facendo sentire i suoi effetti” – commenta Brusciano. “A vantaggio dell’economia e delle prospettive funzionali per la città e l’intera regione, è stato senza dubbio il rinnovato rapporto sinergico con le istituzioni locali ed anche con le organizzazioni sindacali”. Oggi il commissario si trova davanti molte questioni che impediscono al porto di Trieste di essere concretamente attrattivo e competitivo, e che se tempestivamente affrontate e risolte metteranno lo scalo giuliano in una condizione straordinaria, rispondendo all’esigenza regionale di vedere tutto il Friuli Venezia Giulia come unica piattaforma logistica dotata di infrastrutture integrate: dal sistema portuale locale (Trieste, Monfalcone e San Giorgio di Nogaro) all’aeroporto, alle assi viarie e ferroviarie, oltre alle strutture retro portuali come la Sdag di Gorizia e lo scalo di Cervignano. “Troppe – ammonisce Brusciano – sono state le divisioni locali; troppe volte i diversi soggetti operanti nel sistema porto non hanno dialogato e quando ciò è successo il più delle volte era un dialogo divisivo e protezionistico dei propri immediati interessi”. Senza contare anche gli altri fronti aperti sul territorio, primo fra tutti l’annosa vicenda della ferriera di Servola, passata dalla Lucchini al gruppo Arvedi, e che fa emergere due problemi contrastanti: quello ambientale e quello di salvaguardare la presenza industriale e l’occupazione sul territorio.
“E’ chiaro – conclude – che la salute è un valore da tutelare, così come è altrettanto evidente che per uscire dalle secche serve che il territorio possa contare su un’ossatura economica basata sul manifatturiero. Insieme a ciò, ma solo insieme, ogni altro elemento – i servizi ed i settori turistico (bene dopo anni di stop dalla Sovrintendenza, lo sblocco ai lavori del centro turistico di lusso, Grado3, che porterà un migliaio di nuovi posti di lavoro da attingere dalle liste di mobilità), vitivinicolo, enogastronomico, solo per fare esempi disponibili sul territorio – può contribuire allo sviluppo economico e territoriale”.