UN SETTEMBRE NERO PER IL LAVORO IN PROVINCIA DI UDINE
Intervista al segretario generale, Roberto Muradore, pubblicata su Il Gazzettino
Con agosto e le ferie agli sgoccioli manca poco al rientro al lavoro e il clima di incertezza che caratterizza la riapertura delle fabbriche è lo stesso dello scorso anno, se non peggiore. Anche se qualcuno continua a intravvedere alcuni piccoli segnali di ripresa. Facciamo il punto della situazione con il segretario generale della Cisl di Udine, Roberto Muradore.
-Speranze di ripresa a settembre? «La realtà che il sindacato vive quotidianamente e i freddi numeri della crisi raccontano di una recessione ancora in atto. Nell’industria, nel terziario e anche nell’agroalimentare, i sindacalisti sono impegnati in situazioni davvero complicate. Tra casse integrazioni ordinarie, speciali e in deroga, contratti di solidarietà, mobilità e disoccupazione, non riusciamo a vedere alcuna luce in fondo al tunnel».
-Qual è la reale situazione delle imprese? «Due dati per tutti. In provincia di Udine dal 2009 al 2013 hanno chiuso baracca 379 imprese manifatturiere delle 886 spente di tutta la regione. Sempre in provincia, nel primo semestre di quest’anno hanno chiuso 56 imprese e 141 in Friuli Venezia Giulia. Ecco perché l’enfasi posta circa la nascita, comunque positiva, di imprese «start up» rischia di essere solo consolatoria. Queste "start up", infatti, non sopperiscono alle morti aziendali né ai minori posti di lavoro».
-Come vanno le cose nel mercato occupazionale? Gli ultimi numeri parlano di 47.373 disoccupati nel primo trimestre del 2014 in regione e di 17.398 giovani che non lavorano e non studiano. Questi tristemente famosi «neet», che nel 2007 erano 7.651, sono più che raddoppiati».
-A sette mesi dall’inizio dell’anno, qual è la situazione? Da gennaio a luglio, in provincia di Udine, la cassa integrazione guadagni è aumentata di più del 20% e la cassa integrazione speciale del 32,4%. Questo significa che avremo un aumento dei disoccupati poiché la cig speciale ha come esito finale il licenziamento. La mobilità, in effetti, è aumentata del 19,4%».
-Sono dati molto negativi, quindi. Cosa può fare la politica regionale per contrastarli? «Rendere concreta la enunciata volontà riformatrice. La riforma degli Enti locali, ad esempio, può rendere la burocrazia «amica» delle imprese e del lavoro e fornire servizi più efficaci e meno costosi. Vanno riassettate le finanziarie e le partecipate regionali per riportarle a un ruolo di effettivo supporto all’economia reale. Il sistema pubblico e parapubblico, se ben governato, può essere un formidabile motore di sviluppo e non più di freno».
-Altri provvedimenti possibili per rilanciare l’economia e il lavoro regionali? «Urge la predisposizione un piano di opere pubbliche finalizzato sia a rimettere in sesto i beni comunitari quali le strade, le scuole e l’ambiente che a far lavorare le nostre piccole e piccolissime imprese. La giunta regionale ha predisposto un ponderoso documento di politica industriale nel quale si afferma che il manifatturiero è centrale per il futuro dell’economia e del lavoro di questa regione. A ciò va dato seguito fissando priorità e obiettivi da perseguire. Insomma, friulanamente, "movinsi" senza aspettare che siano altri a risolvere i problemi. La specialità e l’autonomia non sono anche questo?