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UN SISTEMA ISTITUZIONALE FARRAGINOSO

Intervento del Segretario Generale Giovanni Fania, pubblicato sul Messaggero Veneto
Correva la fine del 2010 quando come Cisl abbiamo cominciato a sostenere – guardati con non poca diffidenza – che una delle piaghe del nostro sistema-Paese stava nell’eccesiva proliferazione dei livelli istituzionali. Oggi il dibattito è diventato attuale, alimentato dalla spending review e dall’ipotizzato taglio delle Province. Ne è fiorita una discussione molto accesa con il risultato che l’interrogativo principe è caduto quasi nell’oblio, invece di costituire il vero punto di partenza di qualsiasi ragionamento. Ovvero: queste Province – nate anche per soddisfare a precisi bacini elettorali – possiamo permettercele o no? La questione è innegabilmente tutta economica. Nella persistenza di una crisi senza precedenti, ben lontana ancora da un esito positivo, esigenze di razionalizzazione e di risparmio sono diventate l’elemento discriminante di scelte anche impopolari, sebbene necessarie. Lo snellimento dei livelli istituzionali rientra pienamente in questa logica, l’unica possibile per risanare il Paese. Del resto si tratta di applicare trasparenti criteri di efficienza e funzionalità, già peraltro condivisi e applicati in altri settori. E’ evidente ormai che i costi dell’apparato pubblico, inteso come insieme di livelli amministrativi di gradi diversi, sono diventati insostenibili e fronte di sprechi intollerabili noti, oltre ad aver contribuito ad una insolita (almeno sul confronto europeo) proliferazione di organismi e funzioni politiche sinonimo di spese a carico dei contribuenti e ad aver introdotto un tasso di burocrazia, spesso ostacolo insormontabile per cittadini ed imprese. Da un lato, dunque, c’è un problema di costi; dall’altro, c’è il monito dell’Europa che definisce il nostro sistema istituzionale farraginoso, chiedendo semplificazione. A sostegno delle Province, c’è chi si appella all’identità del territorio, dimenticando che non è certo lo steccato provinciale a fare sintesi culturale, ma semmai lo sono le comunità locali chiamate a valorizzare le proprie peculiarità. C’è poi chi ritiene indelegabili le competenze rivestite dagli enti intermedi, ma anche qui si potrebbe discutere a lungo. Pensiamo, ad esempio, alla viabilità. E alla scuola: perché le opere di manutenzione, oggi in capo alle Province, non potrebbero essere sostenute dai Comuni, se non addirittura dagli istituti stessi? E soprattutto c’è da chiedersi se, rispetto ad esperienze anche da noi già vissute di trasferimento di competenze dalla Regione/Stato agli enti intermedi, i risultati siano stati davvero soddisfacenti. Che dire, ad esempio, del collocamento, rispetto al quale il servizio reso dalle Province (7/8% dei lavoratori ricollocati) è pari a quello che forniva la Regione? Ma al di là dei risultati numerici, che senso ha avuto scorporare il collocamento da chi di fatto detiene le competenze in materia di lavoro? Gli interrogativi non mancano: perché, ad esempio, il coordinamento di area vasta, se questo si vuole, deve essere necessariamente di livello politico? Altra questione: lo stesso Stato si sta riorganizzando, basti solo pensare al taglio dei tribunali e delle prefetture. Di fronte ad un quadro di trasformazioni di questo tipo è impensabile che le regioni adottino modelli diversi. Che senso avrebbe, se non complicare ancor di più un panorama già estremamente complesso e frastagliato? Quanto alla nostra realtà, le anomalie sono evidenti, avendo a mente la struttura geografica del Friuli Venezia Giulia: così l’eccessivo numero di Comuni, così il numero di abitanti, con capoluoghi di provincia che appena sfiorano i 35mila abitanti. Non solo dovremmo ragionare di abolizione delle Province, ma anche pensare ad una riorganizzazione di tutta la regione, intesa come un unicum, per recuperare le risorse necessarie alle politiche economiche e sociali, sempre più bisognose. E a questo proposito: facciano attenzione quelli che cercano nel Comparto Unico il capro espiatorio dell’inefficienza della PA, dimenticando che questo investimento nasceva vent’anni fa come il primo tassello di una grande riforma della macchina regionale, oggi rimasta ancora monca proprio per la riluttanza a mettere mano a tutti i livelli amministrativi. Quanto al futuro resta attualissimo il monito di De Gasperi: “Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione”. A questo punto, ci auguriamo che anche i nostri politici sappiano ben considerare il futuro.