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VA RISCRITTO IL RUOLO DELLE PARTECIPATE

Intervento del segretario generale, Giovanni Fania, pubblicato su Il Messaggero Veneto
Dai congressi che la Cisl sta svolgendo in questi giorni in tutti i territori del Friuli Venezia Giulia emerge con chiarezza la preoccupazione legata non solo al lavoro che manca, ma anche al lavoro che rischia di abbandonare la nostra regione a favore di altri lidi. Specialmente austriaci e sloveni. Le sirene d’oltre confine, infatti, continuano ad ammaliare le imprese, e purtroppo non con illusorie promesse, bensì con proposte competitive molto concrete. Parliamo di tasse e buracrazia, alla base di eloquenti campagne attuate in questi anni da apposite agenzie per attrarre i capitali di investimento sia in Carinzia che nella zona di Lubiana. Eppure da tempo anche in Italia e in Friuli Venezia Giulia – e come Cisl lo andiamo chiedendo – la voce del sindacato e quella degli imprenditori converge sulla necessità di snellire e accellerare i tempi e le procedure dell’amministrazione pubblica e di mettere mano ad una riforma fiscale più vicina ai lavoratori (e pensionati), ma anche al mondo dell’impresa. Ci pare, da questo punto di vista, che da parte della politica non ci sia stata ancora una reale presa in carico delle questioni sul tavolo, con la conseguenza che oggi ci troviamo a pagare un gap incolmabile con gli altri Paesi. Un esempio su tutti: la controllata del ministero austriaco dell’Economia, Aba Invest, assieme all’agenzia regionale Eak, assicura che in soli sette giorni è possibile, nel loro Paese, fondare una società oppure ottenere una concessione edilizia; ne servono 80, invece, per l’avvio di una produzione industriale con un’imposta secca del 25% sugli utili delle società, non esistendo l’Irap. E senza contare i finanziamenti per ricerca e sviluppo, i costi deducibili e le detrazioni possibili, il rimborso automatico dell’Iva, la disponibilità di energia a prezzi più bassi e l’assistenza gratuita per tutto l’iter dell’insediamento. Pacchetto simile anche in Slovenia. Per sfiorare il paradosso, ecco la risposta italiana: tra le nostre maggiori disfunzioni vi è l’assurda frammentazione delle competenze che spesso porta ad incrociare almeno cinque diversi livelli costituzionali – europeo, statale, regionale, provinciale e comunale – rispetto alle medesime decisioni, con l’inevitabile difficoltà di mettere d’accordo i vari soggetti coinvolti e l’abnorme aumento di costi. E così accade che per realizzare un chilometro di rete ferroviaria in Italia occorrano 50 milioni di euro, contro i 13 della Francia e i 15 della Spagna. Le anomalie di cui soffriamo sono molte e purtroppo strutturali. Gli elementi della competitività ci sono sfuggiti di mano, mentre altri Paesi – riferiamoci pure ai nostri vicini di casa, Austria e Slovenia – li stanno ben cogliendo. Di fronte a tutto questo, la politica, anche regionale, non può restare nè indifferente nè inerte. Soprattutto considerando l’importante dote di strumenti operativi di cui dispone il Friuli Venezia Giulia. Riferendomi, in particolare, alle campagne attuate da Austria e Slovenia per attrarre nei rispettivi Paesi nuovi investitori e imprese, una riflessione andrebbe fatta anche sul nostro sistema complessivo di marketing economico e finanziario e sulla necessità di una più incisiva azione di promozione, anche direttamente all’estero, affidata alle nostre partecipate. Bracci operativi – queste ultime – che pur scontando anch’esse gli effetti della crisi – hanno saputo nel tempo sostenere le imprese locali nei momenti di difficoltà. Oggi vanno ripensati in un’ottica di più ampia efficacia e diffusione, salvaguardando le innumerevoli e alte professionalità riconosciute e maturate negli anni. Ci auguriamo che le agende dei candidati governatori del Friuli Venezia Giulia convergano su questi punti, pena l’impoverimento del tessuto imprenditoriale del nostro territorio. Oggi a livello nazionale, già un migliaio di aziende hanno preso la via della Carinzia ed, in generale dei land austriaci. Il rischio è che molte altre, anche locali, se ne aggiungano se non avremo la capacità di trattenerle con argomenti convincenti. Vale a dire con scelte di prospettiva, innanzittutto di politica industriale, in grado di far tornare il Friuli Venezia Giulia terra di approdo e non di dipartita. In quest’ottica, ad esempio, un ruolo importante potrebbe essere svolto proprio da Insiel, attraverso una socializzazione con le imprese e i cittadini, delle strutture informatiche e delle reti immateriali, condizione prima di attrattività e buon lavoro. E’ vero che oggi non possiamo più parlare di delocalizzazione come negli anni Ottanta e Novanta, ma è altrettanto vero che le nostre imprese, sempre più votate ad una internazionalizzazione necessaria, hanno rispetto al passato, la possibilità concreta di optare per scelte molto più convenienti di quelle che stiamo attualmente offrendo noi. La questione non può certamente essere sottovalutata: lasciarla a se stessa significa rinunciare al lavoro, all’occupazione sul territorio, a rafforzare il tessuto industriale di una regione geograficamente (e non solo) fortunata, a sostenere tutte quelle piccole aziende, specialmente contoterziste, che altrimenti vedrebbero messa a rischio la loro stessa sopravvivenza. Credo che la Regione, e la politica tutta, debbano più attenzione a questi temi, scommettendo di più sui propri assets strategici (ad esempio la ricerca, con i sui prestigiosi centri e l’oltre il migliaio di dipendenti) e investendo meglio su marketing, accoglienza, assistenza, oltre che su quella specialità che potrebbe davvero essere una leva preziosa di attrazione.
Per quanto ci riguarda come Cisl continueremo ad andare in pressing su tali questioni, ma è evidente che da chi sarà il prossimo timoniere della Regione ci attendiamo risposte altrettanto chiare e lungimiranti.