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WARTSILA ITALIA, E’ ARRIVATO IL MOMENTO DELLA CRISI

I 90 esuberi dichiarati, l’annuncio della chiusura delle sale prove e l’uscita anticipata del presidente, sono tutti segnali molto preoccupanti già se presi singolarmente: se poi li leghiamo assieme, allora si capisce perché per il sindacato questa è una vertenza da “codice rosso”, evidenza di una crisi strutturale di ruolo dello stabilimento triestino.
Per capire meglio la situazione bisogna ripercorrere gli ultimi 20 anni di storia dello stabilimento: da quando la Divisione Grandi Motori, allora del gruppo Fincantieri, è stata acquisita dalla finlandese Wartsila.
Gli schemi e gli obiettivi che la Wartsila voleva esportare dalla Finlandia erano quelli dei piccoli stabilimenti monoprodotto, di media dimensione, con circa 700/800 dipendenti (la GRANDI MOTORI all’epoca ne aveva circa il doppio): inoltre c’era un accentramento decisionale (cosa ovvia nelle multinazionali) tutto in mano alla Corporation.
La capacità di tutta la WARTSILA ITALIA (non vanno dimenticati i centri di assistenza sparsi in Italia ed oggi limitati alle sole Basi di Genova, Napoli e Taranto ed il ruolo delle ditte di appalto) fu quella di modificare questo schema, giocando “una partita d’attacco” e non restando sulla difensiva.
Una partita difficile, ma vinta, giocata assieme dal management italiano, dalle maestranze, dal Coordinamento Sindacale e dalle Istituzioni, ed in cui si stabiliva che, nello stabilimento triestino, si potevano sviluppare più prodotti, garantendo altresì la presenza di tutte le aree: produzione, service, logistica, marine, technology, ricerca, ecc.
Non è stata una passeggiata, ma la partita era necessaria poiché sapevamo che lo stabilimento di Bagnoli non avrebbe retto allo schema finlandese: ci sono stati accordi complicati, uscite pesanti, malgrado le agevolazioni, e momenti di grandi tensione (uno su tutti il fallimento della Meloni, che altro non era che il vecchio reparto carpenteria).
I risultati però furono evidenti: il management italiano entrò a far parte degli organismi della Corporation, le maestranze italiane dimostrarono con i fatti le loro capacità tecniche, operative, gestionali e lo stabilimento cominciò a crescere nei carichi di lavoro e nel numero degli occupati.
Il clima era cambiato, tanto che in Finlandia si decise addirittura di chiudere lo storico stabilimento di Turku e di spostare le attività in Italia.
Oggi, con l’addio di Sergio Razeto, artefice di quel processo, si chiude un pezzo di storia importante dello stabilimento di Bagnoli.
Ora c’è la necessità, di nuovo, di giocare in attacco e non in difesa. Se Wartsila punterà a difendersi, sceglierà una lenta ma inevitabile agonia che la porterà, probabilmente alle stesse scelte che, vent’anni fa, fece Fincantieri.
Per scongiurare questo scenario, bisogna, non solo che la riunione al MISE rappresenti all’azienda questa volontà di conferma del ruolo globale dello stabilimento triestino, ma che anche la Regione porti al tavolo la volontà industriale e politica di trasformare la crisi in un’opportunità di rilancio, valorizzando le potenzialità dello stabilimento triestino e cogliendo le potenzialità che il nostro territorio può offrire.
I provvedimenti di RILANCIMPRESA, la specialità regionale, la capacità delle maestranze, la presenza di un colosso come Fincantieri, l’esistenza delle università, dei centri di ricerca e formazione, sono opportunità che WARTSILA CORPORATION non può trovare ovunque: ma sono opportunità che passano attraverso la definizione di un ruolo da protagonista della WARTSILA ITALIA.
La crisi non è finita e non possiamo perdere altri pezzi: non abbiamo intenzione di accettare né licenziamenti né la perdita di ruolo dello stabilimento.
WARTSILA ITALIA deve essere la vertenza da cui nasce il segnale di rilancio e di ripresa per tutta l’economia regionale e per ridare la stessa speranza ad un territorio, quello triestino, che altrimenti vedrebbe drammaticamente ridotta la propria presenza industriale.