ZERO BUROCRAZIA E RIFORME PER FAR RIPARTIRE L’ECONOMIA
Intervento pubblicato su Il Messaggero Veneto
di FRANCO BELCI GIOVANNI FANIA GIACINTO MENIS Si conclude per il lavoro un anno davvero drammatico, soprattutto nel settore manifatturiero. Non serve richiamare le cifre ormai note a tutti, ognuna delle quali rappresenta la situazione di una persona in carne e ossa. Né serve l’elenco delle aziende in crisi o in difficoltà, perché sotto i riflettori ci sono quelle più grandi e note, ma sotto la punta dell’iceberg c’è un vasto e spesso ignoto terreno sommerso che versa in situazioni di collasso. E’ inevitabile, per il sindacato e le istituzioni, spendersi prima di tutto per affrontare l’emergenza. Ma non è sufficiente. Il tessuto industriale uscirà, purtroppo, ridotto e profondamente modificato dalla crisi, ed è necessario programmare politiche industriali che prefigurino un nuovo modello di sviluppo. Nei giorni scorsi la giunta regionale ha fatto, incontrando le forze sociali, un primo passo in questo senso, invertendo la tendenza di quella precedente, refrattaria al gioco d’anticipo. Ora però sarà necessario marciare spediti, istituendo una cabina di regia ristretta con la presenza delle forze sociali per confrontaci sui singoli step che porteranno all’intervento legislativo previsto per maggio. Condividiamo la necessità di riorganizzare la strumentazione legislativa di settore, costruita anni fa per accompagnare una fase espansiva dell’economia. Così come l’urgenza di rivedere e coordinare un sistema dei centri per innovazione e ricerca che ci appare pletorico e disperso. Rappresentiamo l’esigenza di mettere in opera una maggiore selettività degli incentivi alle imprese: in questa prospettiva si devono incentivare le aggregazioni e va ripresa la proposta di sostegno alle reti di impresa depositata nella scorsa legislatura. E’ necessario inoltre porsi il problema di orientare diversamente, in un vero e proprio piano industriale regionale, alcune delle specializzazioni produttive, esplorando i settori della green economy e creando le condizioni per impiantare e far crescere attività produttive che operino in sinergia e siano legate alle caratteristiche morfologiche del territorio. Si potrebbe iniziare dalla montagna, a rischio isolamento e spopolamento, progettando e attuando gli interventi di messa in sicurezza e di salvaguardia del territorio e cercando sinergie tra industria e turismo: ad esempio legando il settore del bosco-legno a interventi di riorganizzazione del territorio, nel rispetto dell’ambiente, per incentivare il turismo. Va trovata una connessione tra la valorizzazione turistica dei comprensori dello Zoncolan e dei piani di Montasio, per fare solo due esempi, e il turismo culturale e balneare di Lignano e Grado. Infine, occorre accelerare sul terreno delle riforme istituzionali e su quello della riorganizzazione della macchina pubblica, puntando a introdurre sempre più massicciamente negli Enti locali e in Regione esperienze e sperimentazioni di “burocrazia zero” portandole rapidamente a sistema. Non ci si può arenare in un dibattito che si blocchi sul destino delle province. Abbiamo già detto che il rischio è che mentre vi si rimane invischiati, sia la crisi a mettere in discussione economia e perimetro del territorio, come sta succedendo a Pordenone. La Regione ha individuato un punto di mediazione trasformando le province in enti di secondo grado: una soluzione che consentirà un dibattito non affrettato sulle competenze. Va affrontato in parallelo il tema della riorganizzazione normativa e contrattuale del comparto unico a sostegno della riforma. E’ finito il tempo delle parole e dei dibattiti pubblici: occorre mettere rapidamente i ferri in acqua. Ci attendiamo perciò dalla Giunta una convocazione, assieme ad Anci e Upi, all’inizio dell’anno. Infine, questa Regione deve recuperare un senso del bene comune, riscoprire le ragioni del proprio stare insieme. La crisi impone di subordinare identità collettive fondate sul territorio a quelle costruite sui diritti di cittadinanza, su una eguale possibilità di accesso ai servizi di tutti i cittadini, sulla coesione e sulla solidarietà. Sono i valori sui quali è cresciuto il movimento sindacale. Dobbiamo saperli coniugare con i tempi, ma non è lecito abbandonarli: non si tratta di conservatorismo, ma di democrazia e civiltà. E’ questo il messaggio che vogliamo dare, in questa triste fine d’anno, alle lavoratrici e ai lavoratori del Fvg. E che vogliamo estendere ai pensionati che spesso sono costretti a vivere in ristrettezze: il valore medio della pensione in Fvg è di 808 euro, ma ben il 40% vive con 600, sul crinale della soglia di povertà. Alla loro richiesta di una vecchiaia attiva e serena la società deve rispondere rafforzando le occasioni di partecipazione, come fanno le nostre Organizzazioni di categoria, e sostenendo un welfare solido e ben organizzato. Il nostro impegno, talvolta con successi e talatra con sconfitte che non vanno nascoste, è rivolto a ciascun lavoratore, a ciascun pensionato, a ciascuna donna, in un periodo nel quale ne viene troppo spesso messa in discussione la dignità: mentre per qualcuno sono numeri, per noi sono persone in carne ed ossa che vogliamo incontrare e guardare negli occhi. Ed, assieme, ritrovare la speranza per un nuovo anno migliore. segretari regionali di Cgil, Cisl e Uil