INTERVISTA A GIOVANNI FANIA SU “DOSSIER” DE IL GIORNALE
– Fino al 2008 la disoccupazione in regione sfiorava appena il 3,5%. Oggi sono 35 mila le persone che oggi cercano lavoro, il 55% in più rispetto al 2011; 3 mila in meno su gennaio-marzo. La condizione occupazionale in Friuli Venezia Giulia resta difficile, migliore che nel resto del Nord Est, ma pur sempre preoccupante. Quali le situazioni – sia sul fronte dei settori produttivi che delle fasce d’età – maggiormente critiche?
Quello che ci preoccupa di più è il trend della disoccupazione, in costante aumento. Purtroppo ad oggi non registriamo segnali di un’inversione di tendenza. Ad essere colpite dalla crisi sono tutte le fasce di età e tutti i settori produttivi, in modo assolutamente trasversale. Resta il fatto che in Friuli Venezia Giulia possiamo ancora contare su una significativa fetta di export, che consente alla nostra regione di resistere a scenari ben più cupi. Le performance all’estero compensano quelle sul mercato interno, dove si consuma la crisi più grande. La situazione complessiva resta però preoccupante se si considera, accanto ai giovani che non trovano lavoro, tutti quei 45-55 anni che sono usciti dal ciclo produttivo e che difficilmente potranno trovare ricollocazione.
– Come valuta la legge Fornero di riforma del mercato del lavoro, dalla nuova formulazione dell’articolo 18 ai contratti per i lavoratori flessibili e autonomi? Quale l’aspetto più positivo e quello che meno la convince della riforma?
Pur se come Cisl siamo stati i primi a riconoscere la necessità di un intervento complessivo in materia di lavoro, la riforma Fornero – nata viziata anche a causa di dannosi irrigidimenti di natura ideologica e dalla scarsa propensione a concertare del governo Monti – non è stata capace di andare fino in fondo e di colmare le debolezze strutturali (e culturali) del nostro Paese. Lasciando da parte l’articolo 18 che, contrariamente a quanto qualcuno, strumentalizzandolo, afferma, non ha subito lesioni, si sarebbe potuto fare molto di più nel campo degli obiettivi condivisi: ad esempio, rispetto alla flessibilità in entrata, semplificare le tipologie contrattuali; accanto all’apprendistato, si sarebbe dovuto favorire il reimpiego dei lavoratori espulsi dal ciclo produttivo e delle categorie svantaggiate; bisognava valorizzare il part time e marcare meglio il confine tra lavoro dipendente ed autonomo; quanto all’estensione degli ammortizzatori sociali, si sarebbero potuti prevedere Fondi di solidarietà anche per le aziende sotto i 15 dipendenti e, ancora, riorganizzare i rapporti tra governo e competenze regionali sui servizi per l’impiego.
– Ritiene che la riforma Fornero saprà favorire in maniera concreta il mercato del lavoro?
Siamo di fronte ad una riforma con evidenti limiti, ma che può contribuire a risolvere nodi storici del mercato del lavoro: così, ad esempio, regolando le flessibilità in ingresso ed allargando la platea dei beneficiari degli ammortizzatori sociali. Quanto agli effetti, la riforma favorirà concretamente il mercato del lavoro solo se sarà in grado di sviluppare il legame con le politiche attive, oggi ancora labile, e superare la presunzione che per migliorare l’occupazione basti cambiare le regole del lavoro.
A differenza di altri Paesi dove le politiche in questione funzionano bene, l’Italia sconta una netta inefficienza, a vantaggio della precarietà. Ecco perché la riforma dovrà occuparsi anche di formazione ed orientamento, come leve fondamentali delle prioritarie politiche attive.
– In che modo, a livello territoriale, può essere sostenuta l’occupazione? Le politiche sul lavoro attuate dalla Regione risultano sufficienti?
Non è più tempo di accontentarsi delle politiche sufficienti se si vuole uscire dalla crisi. Gli strumenti fino a qui messi in campo sicuramente sono risultati utili a tamponare le difficoltà, ma oggi serve qualcosa di più efficace e soprattutto orientato alla crescita e allo sviluppo. Come Cisl abbiamo predisposto e sottoposto all’attenzione della Regione una apposita piattaforma, a sostegno del rilancio del Friuli Venezia Giulia. Tra le priorità, vi sono le infrastrutture, materiali e immateriali, un piano energetico nuovo a favore della produttività e che possa contare anche su rigassificatori e elettrodotti, maggiore interesse (data l’eccellenza delle strutture esistenti in regione) verso la ricerca e migliore collegamento con il mondo imprenditoriale, politiche attive del lavoro ancorate al sistema della formazione e del matching tra domanda e offerta di lavoro, sviluppo della contrattazione di II livello.